Con la fine della guerra e la liberazione dall’invasore tedesco, dal punto di vista della narrazione gialla, le cose non cambiano. Anzi. Mentre una montagna di carta e di parole scritte da allora in poi sono state immolate sull’altare della saggistica, molto inferiore è stata la produzione da collocare sugli scaffali della narrativa, quasi nulla, fino ai tempi più recenti, quella identificabile con il genere giallo.

Il Ventennio, anzi il Trentennio (intendendo quell’arco di tempo compreso tra la fine della prima guerra mondiale, e le elezioni del ’48 passando attraverso marcia su Roma, occupazione delle fabbriche, regime, mire colonialistiche, occupazione, resistenza, disastro bellico, borsa nera, attentato a Togliatti, e quant’altro successo nelle grandi città fino ai piccoli centri montani in tutta Italia) forse si è voluto accantonare.

O chissà. Ma qui la risposta è agli storici.

Al giallista resta il silenzio. Pesante e incomprensibile. Un silenzio che va a togliere forza e personalità a una fetta di storia recente del nostro paese. Un silenzio che ammazza il fascino di quegli anni, e dei suoi protagonisti, che non lascia traccia alcuna del suo fluire, e allo stesso tempo non aiuta l’analisi storica che trova anche nel quotidiano il valore primo per l’interpretazione. Parliamo di anni di grandi conflitti sociali, grevi di contraddizioni, di dinamismo e movimento di idee, da qualunque parte si decida di scegliere il punto d’osservazione. Sono stati anche anni oscuri, come oscuri sono tutti gli anni trascorsi sotto i regimi dittatoriali e con la propria terra e la vita quotidiana offuscata e repressa dalla presenza di un invasore in divisa. Anni che hanno messo i presupposti di nuove tenebre che il passaggio agli anni della democrazia in Italia non si sono dissolte molto in fretta se si pensa ai troppi morti di piazza, allo stragismo, al terrorismo, ai servizi segreti deviati, al connubio malavita organizzata e mondo della politica, traffico d’armi e contrabbando di droga.

E con simili presupposti il mistero sta di casa.

Eppure questi tanti piccoli e grandi misteri non diventano oggetto di narrazione.

Cos’è che tiene distante la voglia degli autori italiani di infilare le mani nei casi misteriosi, veri o falsi che siano, di quell’epoca?

Misteri quotidiani di povera gente, e misteri d’alto bordo.

Gli scrittori americani sono maestri di thriller e nell’inventarsi il mistero. Gli scrittori italiani che hanno il mistero a filo di pelle non desiderano scrivere di thriller.

Se è vero che il giallo rappresenta un modo per documentare l’esistente anche quei trent’anni che cambiarono il volto dell’Europa meritano di essere conservati nel ricordo, attraverso le loro tracce, e le loro testimonianze. Senza limitarsi a ereditare dal ventennio solo quella triste camicia nera, oggi particolarmente di moda.

Carlo Lucarelli, il più titolato a parlare di quest’argomento vista la sua esperienza (e tenacia) ha fatto una riflessione che mette in risalto un paradosso.

Dice Lucarelli:

“L’eredità lasciataci dal giallo italiano di quell’epoca è talmente arida che naturalmente porta con sé delle conseguenze, al punto che oggi, per uno scrittore italiano è più semplice narrare una storia ambientata nel vecchio west anziché nel nostro Ventennio.”

In effetti l’epopea selvaggia del West americano è stata rivoltata come un calzino più e più volte. Esiste una messe abbondante di materiale scritto a cui si può attingere a piene mani, e garantisce la possibilità di cogliere tutte le sfumature di un’epoca e dei suoi protagonisti.

Allo scrittore spetta solo la scelta dell’angolo visuale. Tutto questo grazie al ruolo giocato dal cinema, dai fumetti, dai romanzi. Segno inequivocabile del riconoscimento di una radice di un popolo. Di un elemento strutturale della propria cultura e del proprio senso di appartenenza. Chiunque può accedere a questo patrimonio di informazioni e servire su un piatto d’argento una storia quanto meno credibile, se non altro dal punto di vista dell’ambientazione.

E’ con gli anni novanta che l’occhio dello scrittore incomincia a sbirciare tra le carte e le figure istituzionali del Regime. Crescono così i primi nomi.

Il già citato Carlo Lucarelli autore delle tre storie pubblicate da Sellerio con protagonista il commissario De Luca (Carta bianca, 1990, L’estate torbida, 1991, Via delle Oche, 1996), oltre a romanzi quali Indagine non autorizzata, ambientata nella Rimini dei telefoni bianchi, L’Isola dell'Angelo caduto, legato al delitto Matteotti, e Guernica, sullo sfondo della guerra civile spagnola.

Occorre segnalare anche Edoardo Angelino (con L’inverno dei mongoli, 1995, e Binario morto, 1998), Corrado Augias (Quella mattina di luglio, 1995), Lucio Trevisan (L’ombra del passato) Leonardo Gori, autore di Lo specchio nero, con la figura del capitano Bruno Arcieri dei Reali Carabinieri.

Mi concedo, come conclusione, di segnalare il sottoscritto con il romanzo Tre fili di perle (edito da Mobydick nel 2005) che narra del commissario Liborio Fiumanò, ex poliziotto Ovra, e reintegrato nei ranghi della Pubblica Sicurezza subito dopo la Liberazione.

Il percorso per interrogarsi sui destini della nostra storia recente è aperto, ed è inevitabilmente legato ai sentimenti e alle idee che l’autore è capace di sviscerare e mettere in campo. Capace anche di inserirsi negli stessi ingranaggi della storia per mettere un mattone sul grande muro della memoria. Che male non fa.