(continua dalla puntata precedente)

E’ il caso di Augusto De Angelis, appassionato di filosofia, creatore del commissario De Vincenzi protagonista di romanzi quali L’albergo delle tre rose, Allucinazione, Il banchiere assassinato e noto al grande pubblico per un rigurgito di interesse esploso negli anni settanta, e per la riduzione televisiva con il volto donatogli da un rigoroso Paolo Stoppa. Il commissario De Vincenzi (che qualche critico ha definito il Maigret nostrano mai assunto ai ranghi della grande letteratura solo per miopia tutta italiana), si propone come una figura di poliziotto molto moderna per i tempi, caratterizzato da grandi doti di umanità e sensibilità unite a una non comune capacità di analisi psicologica del delitto e dei suoi protagonisti.

A tenere il passo con Augusto De Angelis troviamo il già citato Ezio D’Errico, siciliano di Agrigento, scrittore prolifico, commediografo, perito grafico, pittore astrattista, e fotografo. D’Errico è stato capace di aggirare l’ostacolo delle imposizioni di regime ambientando buona parte delle sue opere in terra francese. Un grido nella nebbia, I superstiti dell’Hirondelle, La notte del 14 luglio sono alcuni dei titoli che vedono protagonisti il commissario Emilio Richard (“con quell’onestà caparbia che corrispondeva nella sfera morale alla massiccia struttura della sua persona fisica”), della Seconda Brigata Mobile della polizia parigina, e il dottor Giorgio Milton, medico perito della Sureté. Personaggi a tratti malinconici ben inseriti nella scenografia parigina.

Da segnalare anche il fiorentino Paolo Lorenzini, figlio di Ippolito, uno dei fratelli del più noto Carlo, ovvero il Carlo Collodi autore di Pinocchio. Paolo Lorenzini mantenne sempre viva la memoria dello zio, ne scrisse una biografia, e scese in campo di fronte alla versione disneyana del burattino perché troppo vicino alla logica americana, e chiese al Ministero della Cultura di intervenire a difesa del simbolo italiano.

Fu anche traduttore e sceneggiatore. Da ricordare il film del 36 I due sergenti diretto da Enrico Guazzoni e interpretato da Gino Cervi e Alida Valli.

Altro scrittore, più famoso per le sceneggiature di fumetti quali Tiramolla e Cucciolo per le Edizioni Alpe, è Leonello Martini che ha pubblicato, tra il 1936 e il 1950, una trentina di romanzi gialli firmandosi anche con lo pseudonimo di J. Forrest King, Ljonel Martins. (tra cui Il terrore di Londra, per le Edizioni Impero, Il pugnale indiano, Il pennello azzurro, Magia Nera per le Edizioni Sadel).

Oltre ai nomi di Enzo Geminai, Ulderico Tegani, Guido Monadi, Pietro Formino, Italo Testa, Gastone Tanzi, un’ultima attenzione va dedicata ad Alessandro Varaldo che, come segnala Daniele Cambiaso, tratteggia nei suoi romanzi una borghesia ancora umbertina, legata alle sue tradizioni e ai suoi oggetti di valore, per la quale risulta rassicurante una figura di detective poco inquisitoria, razionale ma non legata ossessivamente alla logica deduttiva e sorniona quanto basta per cogliere il lato ironico dei casi di cui si occupa. Come vagamente ironico è il nome del suo personaggio “sor Ascanio”, protagonista di una dozzina di romanzi tutti editi da Mondadori, tra cui Il sette bello e Le scarpette rosse (1931), La scomparsa di Rigel (1933), Circolo chiuso e Casco d’oro (1936).

E il padre dei giallisti italiani? C’era anche lui a quel tempo: Giorgio Scerbanenco. Tutto preso dal genere rosa, e prima di dare spazio alla sua inventiva noir di stampo milanese con i sei romanzi dedicati a Duca Lamberti, e con la produzione di oltre un centinaio di racconti, trovava anche alcuni momenti per dedicarsi ai casi che vedevano coinvolto Jelling, un archivista della polizia di Boston.

Ma sopra a tutti svetta un grande della nostra letteratura. Carlo Emilio Gadda. E’ a lui che va consegnata la palma del romanziere giallo del nostro ventennio (se invece dilatiamo lo spazio temporale si potrebbe fare un passo indietro e fare quattro chiacchiere su Il cappello del prete, di Emilio De Marchi) con Quer pasticciaccio brutto de via Merulana che c

i fa conoscere, grazie a un torbido delitto narrato con grande ironia e una magistrale forza stilistica che ha spezzato i canoni descrittivi e del linguaggio, il giovane commissario, già forte di “una certa praticaccia del mondo”, dottor Francesco Ingravallo, per gli amici Don Ciccio. Di Gadda spesso ci si dimentica, parlando di giallo. Forse ancora oggi non è consentita l’idea che un grande della scrittura possa essere un grande del giallo, e viceversa. E anche questo è un mistero da dipanare. Mistero nel mistero.