Meno urlato rispetto a La sconosciuta, pur trattando in larga parte temi identici, in particolare la prostituzione con al centro donne dell’Est ridotte in stato di schiavitù e il desiderio incessante di paternità-maternità, A casa nostra di Francesca Comencini è un cahier de doleances scritto sì con mano ferma e di chiara, indubitabile, civile partecipazione, ma che lascia dietro di sé l’impressione netta di non riuscire a diventare lo specchio di una realtà attuale.

Lo sguardo adottato è quello, mutatis mutandis, corale cui ci ha abituato Robert Altman (e quelli che sembrano i suoi eredi manifesti, P. T. Anderson e Alejandro Gonzáles Iñárritu), una sorta di sguardo totale su storie diverse in marcia senza un vero e proprio centro se non quello che le vede scorrere parallele e ignote le une alle altre fino alle involontarie, quanto inevitabili, intersezioni.

Il contenitore è Milano (una volta da bere oggi chi sa…) mentre le storie sono quelle di una modella (Laura Chiatti) mantenuta dal suo amante, un banchiere d’assalto (Luca Zingaretti), di un prestanome attratto dal guadagno facile (Argentero), di un uomo (Battiston) che tenta di salvare una prostituta dalla strada, di un capitano della Guardia di Finanza (Valeria Golino) divisa tra le indagini sul banchiere e una vita privata che ruota attorno ad una storia d’amore fatta più di patimenti che di gioie, comprese quelle legate alle precarie condizioni economiche e di salute dei genitori del suo “lui.”

Se le storie in qualche modo girano, quella che segna più il passo è proprio l’ultima citata, dal momento che A casa nostra, come accade sempre più spesso, è soltanto in piccola parte ciò che il solito ingannevole trailer lascia credere che sia, ossia una sorta di thriller finanziario. In apertura l’attesa è soddisfatta, dal momento che tutto sembra andare in una direzione, con le intercettazioni che accumulano dati su dati in vista di chissà quale retata, ma poi via via che la storia procede l’energia viene meno, l’indagine sui furbetti lascia il passo alle inquietudini amorose al punto che quando la Golino butta in faccia al banchiere trafficone la frase clou del film “Guardi che questa è anche casa nostra!!” la frase, che lascia prevedere chissà quali sconquassi, semplicemente non avrà seguito.

A seguire una morte sarà riscattata da una vita nascente e lentamente tutto finirà col convergere in punto dove a dispetto delle premesse a pagare il conto non saranno i furbetti spocchiosi dell’alta finanza ma il poveraccio che voleva, come tanti, uno spicchio di torta, che voleva, pure lui, entrare al Billionaire.

Gli resterà un paio di occhiali da sole, quelli con le lenti simili all’occhio di una mosca, quelli per intenderci che fanno somigliare chi li indossa a D. Hedison ne L’esperimento del dottor K, mentre a noi  la sensazione di un film che partito bene ha preferito una deriva controllata rispetto ad un percorso più fedele alle premesse.