Puttana o no, non mi importava. E quel martedì non mi importava neppure della regola numero uno. Lo abbiamo fatto durante la pausa pranzo, dentro allo spogliatoio delle lavoranti, negozio chiuso a doppia mandata e chiave nella toppa. Credimi, ho sbavato mentre si spogliava, perfetta. La Venere del Botticelli che sorgeva tra scope e scatoloni.

La pelle elastica è stata la cosa che mi ha sconvolto di più.

Sono certo di aver avuto una crisi epilettica, perché scuotevo il corpo senza controllo, non riuscivo a fermare le mani e sbavavo in maniera affatto elegante.

Non solo andavo in discesa, avevo preso una notevole velocità.

I primi tempi l'abbiamo fatto sempre in negozio nella pausa pranzo. Infrangevo costantemente la prima regola ma il lavoro non ne risentiva.

Io non le ho mai regalato neppure uno sciampo e lei non ha mai chiesto agevolazioni. Si comportava da cliente qualunque, aspettava il suo turno e pagava regolare.

Quella era certamente un'eccezione, ho pensato.

Poi ho capito che Letvania era come me, scrupolosa e inquadrata, ed anche lei aveva delle regole. Anche le sue poche ma fondamentali.

Potere vedere me tuti giorni ma non potere dormire insieme.

Non chiedere numero telefonino, io telefonare.

Non cercare me di Viaregio.

Il suo italiano scorretto aveva un suono delizioso. Tutta Letvania suonava in maniera deliziosa, qualunque cosa facesse.

Più il tempo passava e più mi abbandonavo a quella musica.

Non fare la carogna, non pensare neppure un attimo che fosse solo musica da camera. Facevamo altro, facevamo quello che fanno due persone che si piacciono, quello che banalmente riempie i giorni di una coppia normale, come guardare un film noleggiato o stare sdraiati e pensare in silenzio, o ascoltare musica. A volte uscivamo, andavamo per negozi, facevamo passeggiate, pranzavamo al ristorante, ma tutto questo lontano da Viareggio, perché anche quella era una regola.

Comunque non pensavo più a lei come una puttana. Se pensavo a lei pensavo a Letvania e basta, e a tutte le cose che facevamo assieme. Il resto, quello che faceva quando non era con me, non mi importava.

Se vuoi proseguo con gli esempi musicali e ti dico che il nostro stava diventando un concerto bello e buono, con gli archi e i fiati e gli ottoni lucidati e il timpano e tutto l'occorrente. Ed io me lo godevo in prima fila, e lei ogni tanto faceva la sua punta naturale e accennava due passi di danza.

Tutto

Una

Meraviglia.

Non ho detto tutto una favola perché mi sembrava di esserci, dentro una favola. Verso le otto di sera Cenerentola doveva correre via, prima che la macchina si trasformasse in una zucca, e sgommava verso la Versilia.

Non ha mai sgarrato una volta.

Ho cominciato ad odiare la notte.

No domanda di me di Viaregio, prego.

No fidanzata.

Quando le ho chiesto ancora se aveva un uomo ha ripetuto no con veemenza, lei non sa cosa vuol dire ma è quello ha fatto, ha negato con forza. Ma quello che sentivo non lo leggevo negli occhi, e questo mi spingeva a dover infrangere le regole. Perché volevo sapere tutto.

Perché stavo per farle una domanda impegnativa.

Vuoi venire a vivere con me?

Si è ritratta guardandomi spaventata, come l'avessi colpita. Ha sibilato parole incomprensibili che il suo sguardo traduceva in paura allo stato puro. Non ha voluto sentire ragioni e se ne è andata.

Fine del concerto.