Uno dei film più intriganti del maestro Kato Tai, La giocatrice della Peonia Scarlatta–Una Partita di Hanafuda è stato oggetto negli ultimi anni di una vera e propria riscoperta in Italia. Trasmesso al Festival di Venezia nel 2005 e ripubblicato in versione originale con sottotitoli in italiano dalla Dolmen Home Video, appartenente al gruppo Mikado, il film è il terzo capitolo di una serie di otto pellicole che il prolifico Kato girò nel corso degli anni ’60 e ‘70, tutte dedicate al personaggio della Peonia Scarlatta. Inserito nel filone dei cosiddetti “Yakuza film”, La giocatrice della Peonia Scarlatta è un capolavoro del genere da analizzare attentamente, per individuare le tracce seminali e i rimandi nel lavoro a venire di altri autori e film, che lasceranno un segno nell’immaginario collettivo.

La storia narrata dal film è molto semplice: la leggendaria giocatrice professionista di Hanafuda, Ryu (Junko Fuji), detta la Peonia Scarlatta e affiliata al clan Yakuza, va a prestare il proprio aiuto e servizio al padrino locale, scoprendo che una donna bara al gioco usando il suo nome. L’equivoco viene presto risolto, grazie all’abilità di Ryu, e le due donne diventano persino amiche; ma presto il padrino si trova a dover affrontare un duro colpo con la fazione rivale, visto che suo figlio e la figlia del suo acerrimo nemico sono innamorati e hanno deciso di fuggire. La situazione sembra precipitare, ma il padre della ragazza accetta una proposta di Ryu: se lei sconfiggerà il migliore fra i suoi uomini ad una partita di hanafuda, i due ragazzi saranno liberi. Ma il nemico è pur sempre il nemico, e fidarsi delle sue parole non è mai una buona cosa, soprattutto se di mezzo c’è anche l’amore impossibile che sembra spuntare fra Ryu e il valoroso spadaccino Shogo Hanahoga (Ken Takakura)…

Il film volge la storia del tipico eroe di turno al femminile, e anche se non è questa una delle principali caratteristiche innovative dell’opera (visto che una serie su un’insegnante giocatrice d’azzardo donna era già stata inaugurata nel 1966), Junko Fuji è comunque passata alla storia come la protagonista assoluta del filone di film yakuza al femminile. Ryu è un’indomita paladina che si destreggia abilmente sia con la spada che con le pistole, oltre ché ovviamente con il gioco. La violenza, uno dei tratti distintivi del cinema di Kato, trova qui una sua ragione di esistere nell’efferata azione del clan rivale ai danni della presunta traditrice che si finge Ryu, rea di aver aiutato i due innamorati a fuggire. Il tema principale dell’opera, lo scontro fra i sentimenti interiori della protagonista e il suo senso di lealtà, è coreografato da una serie di cambiamenti di tono all’interno della storia, che passa dai toni mélo della storia d’amore ai duelli sanguinolenti via spada o pistola, per arrivare a creare una bella mescolanza di tinte chiare e forti, che rendono bene l’idea di come certo cinema orientale sapesse (e sappia) passare con disinvoltura da un registro all’altro senza cadute di stile.

Caldamente consigliato a chi voglia conoscere meglio il cinema giapponese degli anni ’60, La giocatrice della Peonia Scarlatta svela ad un occhio attento non soltanto una somiglianza fra lo stile di Ozu e quello di Kato, entrambi paladini della ripresa dal basso, ma anche la solida influenza che la cinematografia giapponese dei tardi anni ’50–’60 ebbe sulla nascente cinematografia di Hong Kong: di lì a poco, appena due anni dopo il terzo capitolo della Peonia Scarlatta, King Hu diede alla luce il suo capolavoro A Touch of Zen, carico di ellissi, duelli fulminei e zoomate. Di certo, il padre della New Wave hongkonghese avrà fatto tesoro della lezione di Kato.

Extra

Il cinema di Kato Tai (intervista a Marco Müller e Maria Roberta Novelli)