Presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma lunedì 16 ottobre, Fu Zi rappresenta il ritorno alla regia dopo diciassette anni di Patrick Tam, uno dei maestri della New Wave hongkonghese già autore degli acclamati Nomad e Burning Snow. Il film narra la storia di un padre e di un figlio (da cui il titolo, Fu Zi, letteralmente “padre e figlio”, appunto), alle prese con le difficoltà della vita. Shing (Aaron Kwok) è un buono a nulla, irascibile e dedito al gioco; maltratta spesso la sua donna Lin (Charlie Young), che non ha mai voluto sposare nonostante stiano insieme da cinque anni e abbiano avuto un figlio (Ng King–To). Il problema essenziale di Shing è che non ha intenzione di impegnarsi a trovare un lavoro, e lascia che sia Lin a portare avanti la baracca lavorando in un night club. Lin però ha un amante, il solido ed elegante Woon (sempre Aaron Kwok), e dopo esser stata fermata una volta dal figlio in un primo tentativo di fuga, riesce a scappare definitivamente con il suo amante, con cui poi si sposerà. Shing e il piccolo rimangono così a cavarsela da soli. Ben presto finiscono i soldi, i creditori bussano alla porta di Shing e il comune taglia l’elettricità alla casa, così l’uomo decide di trasferirsi insieme al figlio all’hotel Hung Locke.

Qui, Shing trova una vaga rivalsa in una prostituta (Kelly Lin), che convince a concedersi a un turista anziano previa divisione del pagamento. Ma la tregua dura poco: i soldi finiscono presto, e i creditori lo rintracciano, riempendolo di botte. In gravi difficoltà fisiche, Shing convince il figlio, che ha trascurato divertendosi con la prostituta, a rubare nelle case per lui. Il bambino, diviso fra l’odio per la madre che l’ha abbandonato e la perplessità sui modi bislacchi del padre, a cui però si sente legato per sopravvivere, accetta. Ma una sera il bambino viene beccato e arrestato, e Shing scappa via invece di difendere il figlio. L’episodio segna la rottura definitiva fra i due e il figlio dieci anni dopo tornerà sulle tracce del padre dopo il periodo di espiazione passato in carcere, che gli ha insegnato il valore del perdono.

Ambientato in una Malesia torrida, spietata ma a suo modo poetica, Fu Zi è soprattutto un film sulla pietà filiale, elemento cardine della cultura cinese e che qui emerge come nota di fondo che permette al bambino di proteggere la memoria del padre, nonostante l’indubbia incapacità di amare veramente di quest’ultimo. La storia forse non è particolarmente omogenea, e l’uso un po’ troppo enfatico e a sproposito della musica incide sulla resa delle immagini (soprattutto nel finale). Al di là del lavoro sul montaggio, particolarmente efficace nell’intensa sequenza di sesso con la prostituta, Tam appare vagamente indeciso su quale piega far prendere alla storia, a volte forzatamente comica, altre volte carica di un crescendo emotivo che la musica dovrebbe sottolineare o evidenziare in senso drammatico, rischiando viceversa di allontanare lo spettatore. L’uso degli attori è comunque azzeccato: Charlie Young, con il suo volto tipicamente triste, riesce a infondere la giusta dose di soffocata disperazione al suo personaggio; Kelly Lin indossa alla perfezione la maschera della prostituta annoiata in preda a un improvviso risveglio dei sensi; Ng King–To convince nella sua resa di un figlio sconvolto che riesce a reagire solo se portato allo stremo delle forze e della sopportazione. Ma soprattutto Aaron Kwok, idolo delle ragazzine hongkonghesi qui completamente stravolto, riesce a dimostrare che, se spogliato dei panni da stormrider tutto muscoli e cantopop mieloso, può sfoderare delle doti recitative di tutto rispetto. Magari non possiederà lo charme di un Tony Leung Chiu Wai, né la maestosa intensità (e bellezza) di un Leslie Cheung, ma sa dare un’inattesa profondità all’irascibile e vigliacco Shing, padre degenere che merita tuttavia il perdono. Un ritorno forse non pienamente riuscito, quello di Patrick Tam, ma non per questo disprezzabile.