Finalmente disponibile anche in Italia il dvd di Days of Being Wild, secondo film di Wong kar-wai, da poco pubblicato da Dolmen Home Video.

Realizzato fra il 1990 e il 1991, il film è ambientato nell’epoca-ossessione di Wong, gli anni ’60, e ha come titolo originale in cantonese lo stesso che venne attribuito a Gioventù Bruciata (Rebels Without a Cause) di Nicholas Ray, targato 1955: La storia di Ah-Fei. Oltre a essere un termine generico utilizzato per dei giovani balordi e ribelli, “Ah Fei” rimanda anche al carattere del protagonista Yuddy (Leslie Cheung), eterno scansafatiche e donnaiolo che campa alle spalle della matrigna invece di andarsene a vivere per conto proprio - ossia, rifiutandosi di spiccare il volo: “fei” vuol dire infatti anche “volare”, e come un uccello pigro, Yuddy sembra non volersi mai staccare dal suo nido. Anzi: tutto il film sembra essere un gioco volto all’elusione della realtà, che per Yuddy coincide con l’età matura e con le inevitabili responsabilità della vita.

In particolare, i suoi comportamenti nei confronti delle donne che incontra e che fa inutilmente innamorare di sé - la timida Lai Jun (Maggie Cheung) e la spavalda Mimi (Carina Lau) - sembrano essere l’indice non solo di una semplice immaturità emotiva, ma anche di una fondamentale quanto inesorabile anaffettività nei confronti di se stesso e del proprio essere, condannato (come spesso accade nell’universo di Wong) all’oblio se non alla sparizione completa. In questa cornice votata all’oblio come cifra stilistica per osservare il mondo circostante e quello interiore, il filo che lega i vari personaggi - ai tre già nominati si aggiungono un silenzioso poliziotto (Andy Lau) e un impacciato amico di Yuddy, Wu Ying (Jackie Cheng), rispettivamente innamorati di Lai Jun e Mimì, ovviamente non corrisposti - è la mancanza di reciprocità, l’amore trattenuto o incompreso, in uno scorrere del tempo e dei sentimenti che non è mai sincrono, come le lancette dell’orologio che girano a vuoto, senza mai incontrarsi né far incontrare i desideri. Proverbiali in tal senso sono non solo l’incontro fra Lan Jun e Yuddy, avvenuto proprio davanti a un orologio, ma anche lo squillo della cabina che vorrebbe unire le sorti del poliziotto a quelle di Lan Jun, senza però riuscirci.

Eppure, nella seconda parte del film, il volo sembra diventare possibile e tangibile come mai prima: Yuddy, che nasconde nel cuore un unico desiderio, quello di conoscere la madre che l’ha abbandonato rifugiandosi nelle Filippine, decide di “volare” verso Manila, alla ricerca di se stesso e delle proprie origini. La verità non porterà a una vera riconciliazione, ma probabilmente farà capire al ragazzo il valore autentico della memoria e dell’amore, in un finale tragico e violento a cui il poliziotto, compagno di viaggio improvvisato, assisterà attonito come testimone di un condannato al patibolo della propria inettitudine. La virata noir della vicenda, che dal tono civettuolo e da nouvelle vague della prima parte muta in tinte cupe e dolenti, rappresenta il tocco più memorabile dell’opera, tutta racchiusa dentro quell’estetica della “prossimità senza reciprocità”, così tipica delle storie imbastite da Wong.

Col senno di poi, il film è anche un riferimento importante per tutti coloro che hanno amato 2046: non solo infatti, Days of Being Wild presenta molte caratteristiche in comune con l’altro film - l’amore del presente come oblio degli amori precedenti; la memoria come dilatazione del tempo (un minuto che vale un’esistenza intera); la prostituzione femminile che ambisce a coinvolgere anche il protagonista maschile con la sua vita da mantenuto; Lulù/Mimi come amante violenta; la canzone “Perfidia” inserita nella colonna sonora. Il regista stesso ha inoltre dichiarato come 2046 sia una sorta di Days of Being Wild girato quindici anni dopo. Motivo in più per riscoprire questo bel film, di gran lunga superiore al sopravvalutato Chungking Express (Hong Kong Express in italiano) uscito a distanza di pochi anni.

Extra

Trailer originale sottotitolato; filmografia del regista