Considerato da molti il suo capolavoro, Nomad (1982) di Patrick Tam è per molti versi non più un manifesto della new wave hongkonghese ma quasi un’opera della Nouvelle Vague, sospesa nel tempo e nello spazio. La storia è quella di un manipolo di ragazzi apparentemente spensierati e dediti all’edonismo: l’introverso Louis (Leslie Cheung), la romantica Tomato (Cecilia Yip), la spregiudicata Kathy (Pat Ha) e il “rozzo” Pong (Kenneth Tong) che decidono di allontanarsi dal frastuono del mondo per rifugiarsi il un mondo astorico in cui fondare una loro società fatta di amore, purezza e leggerezza, per poi fuggire ancora una volta sospesi in una bolla fantastica e lontana da tutto a bordo della barca Nomad, di proprietà del padre di Louis. Ma i piani non andranno come previsti, e la Storia si reimmetterà con il suo segno brutale sul sentiero dei quattro giovani, spezzando l’idillio vagheggiato e fino a un certo punto realizzato in pace e armonia. Se la ricerca formale e cromatica che tanto aveva colpito in Love Massacre qui fa nuovamente eco, grazie ai continui giochi fra i colori prediletti dal regista - il rosso del sangue e del sesso, il blu della malinconia e dell’introspezione, il bianco della pausa e dei rituali – quel che viene maggiormente posto in evidenza questa volta, però, è il quadrilatero di personaggi principali con le varie dinamiche esistenti all’interno del gruppo. Kathy e Louis sono accomunati da un certo snobismo decadente, rappresentato dall’amore per la cultura giapponese per la prima e dalla passione per la musica per il secondo. Oltre che essere entrambi molto agiati e affatto preoccupati dagli affanni della vita, sono anche la prima coppia di amanti che appare sullo schermo, anche se la loro unione non convince fin dall’inizio nemmeno loro stessi, forse perché nonostante le somiglianze esteriori e superficiali caratterialmente sono agli antipodi. Kathy è infatti pura istintualità, puro gioco animalesco dettato dalla curiosità più che dalla sete di dominio, e in questo Pong, bagnino dalla mente semplice e dalla carica sessuale fortissima, rappresenta la sua controparte maschile ideale, una persona che sa osare, come nella scena in cui bacia Louis per dimostrare di non indietreggiare davanti a nulla, e che vive i momenti scandendoli unicamente al ritmo della propria istintualità. Parallelamente, Louis rifugge da questa visione puramente “fisica” dell’esistenza, nascondendosi concretamente e metaforicamente nella sua stanza–microcosmo (che poi lascerà spazio alla Nomad, che però rimarrà fino all’ultimo un miraggio, o meglio una chimera in cui non ci è dato entrare, o che semplicemente non ci è dato di vedere), pennellata di blu, di musica classica e di riproduzioni estemporanee della ritualità giapponese di cui Kathy è appassionata perché, fra l’altro, ha un terzo amante che viene proprio dal Giappone. Tomato giunge inaspettamente nella vita di Louis una sera tinta di luci al neon (quanto deve aver preso Wong kar–wai dalla sequenza dell’incontro fra i due ragazzi per i suoi film più ‘generazionali’, da Days of Being Wild a Fallen Angels, senza contare l’uso dello stretch–printing nella scena di sesso fra Louis e Tomato, che Wong utilizzerà invece per altri scopi e in modalità differenti per ‘plasmare’ il personaggio di Hong Kong-città nei pensieri delle persone che vi circolano). Tomato emana una carica per molti versi eversiva, perché fatta unicamente di amore, né di sesso né di edonismo frivolo e adolescenziale; rappresenta un po’ l’universo femminile materno e comprensivo, laddove Kathy invece figura come l’idea del femminile come svincolato da una struttura gerarchica prestabilita, anche se non esattamente incarnazione della “New Woman” teorizzata da Mary Wong. Tam non giudica i suoi personaggi, ma è chiaro che nella morte di Kathy e nella sopravvivenza di Tomato risieda uno dei messaggi chiave del film: la donna apparentemente più fragile, perché amorosa, amorevole, e “omologata” rispetto alla cultura dominante (Tomato è innanzitutto madre, visto che rimane incinta di Louis nel momento in cui i quattro si trasferiscono sull’isola di Lama), in realtà è quella che riesce meglio a reagire ai cambiamenti in atto, che invece travolgono Kathy. Paradossalmente, se all’inizio Kathy e Pong sembrano rappresentare una sorta di cinismo votato esclusivamente al sesso, di fronte al sentimentalismo di Louis e Tomato, è la prima coppia quella destinata a soccombere alla furia della miliziana giapponesi giunta ad uccidere il disertore Takedashi (Stuart Ong) e ciò accade non per pura casualità degli eventi, sembra dirci Tam, ma perché in loro è insita un’innocenza di intenti e di azioni che non ha posto nel mondo reale. Nel mettere in scena la morte dei due ragazzi, Tam è come se ribaltasse i nostri preconcetti rispetto alla coppia destinata a soccombere, che da duo di edonisti senza scrupoli si trasforma in esseri umani mossi genuinamente dall’affettività, da una sorta di conatus spinoziano (e deleuziano, visto che Tam leggeva proprio Deleuze in quegli anni) che li porta a prediligere un rapporto “virale” con le persone care. Louis e Tomato, invece, i cosiddetti sentimentali che rifuggono dal mondo consumista di cui gli altri due sono esponenti consapevoli, rivelano in realtà doti molto più realiste dei loro amici, tanto da essere gli unici a reagire alla follia omicida della virago giapponese (Yung Sai-kit) sopraggiunta sulla spiaggia. Anzi, è proprio Tomato ad uccidere la nemica, che rappresenta insieme la minaccia della realtà brutale di tutti i giorni ma nello stesso tempo una minaccia più sottile, quella della non omologazione ai ruoli prestabiliti (la virago in questione è infatti lesbica) e di cui anche Kathy, e in misura minore Pong, rappresentano una variante “promiscua”, perché anch’essa realizzata al di fuori dei canoni imposti. Così, il messaggio finale di “liberazione” di Louis e Tomato, che fuggiranno insieme sulla nave scappando dalla spiaggia insanguinata, se non moralista è certamente rassicurante, volto com’è a ricreare il valore tradizionale della famiglia (marito, moglie e bambino che sta per nascere) rispetto a una sessualità libera, giocosa, priva di ruoli e gelosie come quella esibita da Kathy e Pong. Mai nel film viene mostrato un segno di gelosia da parte di Pong né nei confronti di Louis né di Takedashi, perché probabilmente il ragazzo rispetta la poligamia di Kathy, in quanto rispondente alla sua natura, o semplicemente perché Pong vive una dimensione al di quà dalla nascita della gelosia, condizione probabilmente condivisa anche da Kathy. Se quest’ultima reagisce in maniera ugualmente drammatica sia alla morte di Pong che alla minaccia imminente che sta per abbattersi su Takedashi, non è dunque solo perché per lei nessun uomo conta più di un altro, ma perché la realtà, con le sue ferree regole di supremazia e di possesso, giunge infine a rompere quell’aura di innocenza che aveva avvolto la sua vita e forse anche quella dei suoi amici. In definitiva, se Mary Wong ipotizzava che il tema principale del film potesse essere quello del desiderio, in realtà si potrebbe dire che Nomad è un film sulla sconfitta del desiderio e sul trionfo della supremazia, e in questo, dunque, è molto più vicino alla lezione francese della Nouvelle Vague (in fondo, anche A bout de souffle alla fine sancisce la morte del desiderio) che alla costruzione di una new wave hongkonghese. Forse sarà anche vero che la famosa e censuratissima scena di sesso nel tram fra Kathy e Pong fosse in realtà nulla più che una semplice concessione alla libido del maschio dell’epoca, ma è anche vero che in quella stessa scena, così pura nella sua spensierata giocosità, è racchiuso l’intero universo “innocente” che Kathy e Pong incarnano e che alla fine troverà la morte nella reinstaurazione della famiglia tradizionale, incarnata da Louis e Tomato. Allora il film sarà davvero un canto del cigno, un inno pessimista all’affettività inevitabilmente caduca, piuttosto che un barlume di speranza racchiuso nella realizzazione di un eden ideale e familiare voluto dalla coppia che alla fine salperà lontano a bordo della Nomad, non più, come sognato all’inizio, per vagabondare e incarnare una vita da soggetti nomadi, appunto, ma piuttosto per cancellare l’idea stessa di nomadismo a favore di una società ancora una volta tradizionale e immessa nell’età adulta, fatta di responsabilità genitoriali.