Paolo Monelli è stato un famoso giornalista, firma di punta di giornali importanti, a cominciare dal Corriere della Sera, dove fu assunto da Ugo Ojetti, dal quale poi fu anche licenziato per motivi politici, e poi, nel dopoguerra, riassunto, ma nel frattempo lavorando presso altre testate, tra cui “Il Resto del Carlino” di Bologna dove, giovanissimo, aveva esordito. Nato a Fiorano Modenese nel 1891, fu negli alpini durante la prima guerra mondiale, esperienza che gli ispirò quello che è considerato un po’ il suo capolavoro “Le scarpe al sole”, primo di una serie di titoli che gli avrebbero dato successo sia in Italia che all’estero, dov’era conosciuto per aver vissuto un po’ ovunque in veste di inviato: Berlino, Londra, Ginevra, New York, dove raggiunse una fama tale da far scrivere al “New York Times”, alla sua morte, avvenuta nel 1984 a Roma: «per mezzo secolo uno dei giornalisti più illustri e dei romanzieri più famosi d'Italia». Vita avventurosa la sua, segnata anche da un matrimonio tardivo con Palma Bucarelli, nota critica d’arte e per anni Sovrintendente della Galleria Nazionale d’Arte Moderna della capitale.

A questo personaggio, Massimo Roscia, uno scrittore arguto, già autore di un singolare libro sulla lingua italiana “La strage dei congiuntivi”, è ispirato il romanzo “Il dannato caso del signor Emme”, edito da Exorma, dove Emme sta naturalmente per Monelli, che, sullo sfondo di un’avventura picaresca di un gruppo di personaggi un po’ spostati, girovaghi su un vecchio scuolabus, targato Zagabria, vanno un po’ per tutta l’Europa, da Lisbona a Parigi alla ricerca del mitico (e per molte pagine) misterioso signor M. Un’indagine a tutto tondo con il piglio del noir.

A guidare il bus un’ex giornalista, Carla, con i suoi figli gemelli, uno un genio della matematica, l’altro, a dispetto di alcune difficoltà verbali, dotato di una personale empatia con il mondo di fronte al quale svela tutto il suo candore, dando vita e voce a un pupazzetto che è il suo amico del cuore: un piccolo nucleo di affetti accompagnato da zio Giordano, fantasma vivente di Bruno Giordano, sopravvissuto, al contrario dell’originale, al rogo di Campo de’ Fiori.

Lo scopo del viaggio, che è motivo di riscatto per Carla che da anni “conduce una battaglia per riportare alla luce esistenze impietosamente cancellate” e di farlo “investigando, seguendo piste, raccogliendo tracce e archiviando documenti” con l’arguzia di un detective e così presentare i suoi risultati alla Congregazione dell’Indice delle vite cancellate e delle opere proibite. Una missione che la porta dritta sulle tracce del signor Emme, una ricerca non da poco in considerazione della vita varia e avventurosa che questi ha avuto.

Così un po’ alla volta saltano fuori i più diversi materiali e testimoni, alcuni dall’al di là, che raccontano chi era il signor Emme, in un intreccio originalissimo che lega l’avventura picaresca dei nostri strampalati eroi alle verità d’archivio. Spuntano così fuori gli straordinari ritratti fotografici del signor Emme, scattati a Parigi dalla grande fotografa Ghitta Carell, oppure, quando si nominano i suoi amici, quelle insieme all’amico scrittore S. che poi si svelerà essere Mario Soldati, così come altra documentazione che l’autore è andato a scovare nell’archivio del Fondo Monelli, contenuto nella Biblioteca statale Antonio Baldini di Roma, gestita dal Ministero per i Beni Culturali e le attività Culturali e per il Turismo. Si tratta di un fondo, composto da 347 scatole che coprono l’arco cronologico che va dal 1868 al 1997 e che comprende un patrimonio preziosissimo del fervore letterario e intellettuale del dopoguerra. Un libro, questo di Roscia, che ha pertanto anche il merito di introdurre il lettore, attraverso la vita di un protagonista dell’informazione tra le due guerre e dell’immediato dopoguerra, a una stagione irripetibile del mondo giornalistico e letterario oggi non solo del tutto scomparso, bensì anche dimenticato, a dispetto dell’influenza che all’epoca ebbe nel mondo culturale di ispirazione liberale del nostro Paese.