Bologna, 5 ottobre 2005

La sera comincia a fare freddino. L’autunno è arrivato, anche a Bologna. O quasi. Non nella libreria di via Rizzoli dove ha luogo la presentazione di Nordest, romanzo scritto a quattro mani da Massimo Carlotto e Marco Videtta: c’è un caldo assassino perché il condizionatore s’è rotto. Poco male, ci si spoglia (non del tutto, ovviamente), e il problema è risolto.

Gli organizzatori portano tre bottiglie d’acqua e tre bicchieri; noto pure che ci sono tre sedie. Devono essere in tre, penso in una improvvisa botta di perspicacia. Il terzo incomodo è Tassinari Stefano, scrittore (come direbbe Macchiavelli Loriano, scrittore pure lui). L’incomodo si accomoda assieme agli altri due, prende il microfono, di rito, si schiarisce la voce e comincia a introdurre Nordest individuandone i temi principali, sottolineando il valore di certi noir che si possono paragonare, se non

sostituire, al carente giornalismo d’inchiesta nostrano. Poi, liturgicamente, l’invito alla lettura, le lodi eccetera eccetera... I libri nelle introduzioni, si sa, son tutti belli.

Stefano Tassinari passa il microfono a Massimo Carlotto. Il papà dell’Alligatore rompe il ghiaccio riferendosi all’afa fuori stagione che regna nel locale: "Il condizionatore rotto è stato costruito nel nordest!"

Risate.

Il ghiaccio è rotto. Anzi, direi squagliato.

Si comincia. Dall’inizio, ovviamente. Dalla genesi del romanzo, ovvero

dalla ricerca di articoli sui quotidiani locali per la documentazione.

L’obiettivo era "forzare i codici di un genere per raccontare la fine di un sistema economico" e indagare, oltre che sulla morte di una donna, sul macro-cadavere chiamato nordest.

Massimo Carlotto srotola come un tappeto quello che è il background del libro; le grandi famiglie industriali, dopo aver costruito centinaia di capannoni sui quali, ironizza, ora "c’è scritto affittasi in cinese", sono scappate all’estero, soprattutto in Romania, dove la forza lavoro costa meno e dove in pratica non esiste una legge che regoli lo smaltimento dei rifiuti tossici.

E questo è un altro punto cruciale del romanzo: l’ecomafia.

Ricordate lo scandalo delle mozzarelle di bufala alla diossina? Ecco, le mucche campane brucavano l’erba cresciuta sui rifiuti tossici del nordest.

Poi c’è l’aspetto per così dire "sociologico", le vecchie famiglie industriali in piena decadenza, i rampolli "cresciuti nella bambagia" incapaci di portare avanti la tradizione, un certo clero che chiude a volte uno, a volte tutti e due gli occhi, il triste teorema che dice che "il tasso di scolarità e cultura è inversamente proporzionale al PIL"...

Insomma, una situazione tutt’altro che felice, lontana anni luce dall’immagine convenzionale del ricco ed efficiente nordest.

La verità, conclude Carlotto, è che è ormai palese l’incapacità della gente di "immaginare il futuro".

Applausi.

Tocca a Marco Videtta.

Racconta dei suoi viaggi su e giù per l’Italia. E di strane coincidenze. Mentre in Veneto i capannoni spuntavano come i funghi, in una discarica a cielo aperto nel casertano si bruciavano rifiuti tossici provenienti dal nordest. Dice anche che gli eterni cantieri dell’autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria pullulerebbero delle stesse scorie sedimentante.

Mi viene da pensare: e noi, l’opinione pubblica, dove eravamo?

S’era parlato nell’introduzione del noir come giornalismo d’inchiesta: speriamo riesca veramente a colmare qualche lacuna di disinformazione...

Videtta spiega che Nordest era nato come plot televisivo, abortito poi per una censura silente quanto efficace, fatto che, al di là di tutto, ha finito per agevolare la stesura del romanzo, spalmata appunto sulla struttura di una sceneggiatura. Conclude punzecchiando un certo "bigottismo cattolico" di cui è imbevuta la società veneta e ripassa il microfono a Carlotto che, dopo qualche secondo di silenzio ridacchia e dice: "Finito di scrivere Nordest, a volte crediamo di non sapere cosa ci abbiamo messo dentro. Succendono cose strane: abbiamo avuto un invito ad un convegno dei Giovani Industriali di Verona. Questo dà veramente il senso della disperazione".

Siamo in dirittura d’arrivo.

Tocca al pubblico stuzzicare gli autori con delle domande. Nasce un botta e risposta molto interessante, a volte divertente e un po’ disperato, visto l’argomento.

Qualche esempio:

Un signore in prima fila si complimenta per i dialoghi e invita gli autori a scrivere per il teatro. Risponde Marco Videtta: "La finanziaria ha dimezzato i fondi alla cultura, e quindi anche al teatro".

Un altro, riferendosi al decentramento, chiede: "A questo punto, cosa vuol dire società postindustriale? Una società senza industrie?"

Videtta risponde che questa "società postindustriale nasce dalla speculazione senza reinvestimento economico e nel lavoro, senza un ritorno culturale".

Qualcuno alza la manina e chiede: "C’è uno sconfinamento oltre Veneto del modello nordest? Pensi all’Emilia, a quello che era, alle sue cooperative, e a quello che è diventata".

Massimo Carlotto: "Sì, ma mai illegale come nel nord est, mai con le stesse famiglie e neanche con una nuova criminalità così vicina alla globalizzazione". Lo scrittore continua individuando altre due differenze e particolarità: il potere e l’influenza delle piccole emittenti televisive locali e lo spostamento totale, "in blocco", sottolinea, degli investimenti.

E ancora, ancora, e ancora... Si toccano diversi altri argomenti tra cui i più gettonati sono la politica e l’economia.

In conclusione Videtta, rispondendo alla domanda: "Cosa ci sarà nel futuro del nordest oltre le sue macerie?", cita Carlotto: "Il peggio deve ancora arrivare".

Chiude lo stesso Carlotto con una dichiarazione da consumato scrittore noir: "Io dò sempre cattive notizie, mi dispiace".

E meno male! Le "cattive notizie" possono svegliarci dal sonno, voluto o indotto, in cui siamo sprofondati. Di questi tempi, servono come il pane.