Ancora noir svedese, ma quello degli esordi, che quasi nessuno in Italia conosceva fino a pochi anni fa. Un romanzo, Sotto la neve, che in patria esce nel lontano 1961, ancor prima della fortunata serie della coppia Sjöwall & Wahlöö, a firma di un’autrice eterodossa, amante di atmosfere misteriose, ma meno incline dei suoi più giovani (e fortunati colleghi) a strutturare le sue storie in cicli ben definiti. Ma Kerstin Ekman, settantaquattrenne, è stata conosciuta in Italia solo alla fine degli anni Novanta sulla scia del successo di Mankell & Co., oltre trent’anni dunque dal suo esordio.

La vicenda ha un’ambientazione assai suggestiva: siamo in territorio svedese, nel villaggio di Rakisjokk, ma con cultura mista con forti innesti finnici e lapponi. La natura e gli uomini sono fortemente segnati dal succedersi innaturale di lunghi mesi di buio, che spingono al silenzio e alla chiusura in se stessi, alternati ai quelli in cui regna il sole di mezzanotte, che desta in tutti una sotterranea irrequietezza che affonda gli artigli nella psiche di ciascuno.

Un maestro di scuola, immigrato dal sud del paese, Matti Olsson, muore in circostanze misteriose durante la lunga notte artica dopo un diverbio con un altro immigrato venuto nel paesino a fare rilevazioni meteorologiche e fermatosi definitivamente. Ma sembra non sia la sola morte misteriosa nel paesino perché Aili Jerf, ragazza del luogo col quale Olsson aveva intrecciato una relazione, sembra si sia suicidata.

Sembra. Perché la costante delle morti in questo villaggio, sepolto dalla neve in inverno o tormentato dalle zanzare in estate, sulle rive di un lago e nelle vicinanze di folti boschi dove si annidano pericoli improvvisi, è la precarietà, la distanza siderale tra le certezze richieste dalla logica del genere e dalla detection dell’agente Torsson (anch’egli proveniente dalla Svezia meridionale) e l’ambiguità, i chiaroscuri di una società che vive in una situazione estrema. A complicare la lettura di una partitura così complessa si aggiunge la presenza di David Malm, amico del defunto Matti, spirito allegro e bizzarro, che ha deciso di venire a trovare l’amico e si ferma poi per chiudere l’inchiesta.

Uomini che si chiudono nel loro dolore come il vecchio Jerf, che dopo la morte della figlia, si è rifugiato sui monti e vive come un eremita; donne con le loro passioni sepolte nel cuore, come la giovane insegnante d’inglese Anna Ryd, ambiguamente legata anch’ella al defunto Olsson; detective in soprappeso e apparentemente lenti nell’afferrare la situazione, come Torsson, che si rivelano invece perspicaci e capaci di cogliere le sfumature negli scarni discorsi dei locali; e un paesaggio inimitabile in mezzo al quale spicca la chiusa valle degli sciamani dove si respira un’atmosfera di inquietante paganesimo, di confine del mondo in cui gli elementi naturali sembrano lottare con l’uomo per il predominio: ecco gli ingredienti fondamentali del noir che invece non brilla per la sua conclusione (non del tutto inaspettata e anche non del tutto chiara) né per la caratterizzazione del giovane Malm, talvolta fuori posto con le sue battute, con la vena scanzonata in un ambiente dove sapientemente la Ekman ha creato un angoscioso senso di aspettazione.

Se l’intento dell’autrice era quello di evidenziare, per contrasto, il lento ma pesante accumulo di tensione tra i personaggi, bene, questa scommessa secondo noi è stata persa: con un Malm in meno e con una soluzione aperta il noir sarebbe stato perfetto.

Anche perché la scelta finale di Malm di fermarsi, come hanno fatto molti altri personaggi prima di lui, sancisce la vittoria della natura selvaggia e della società chiusa del villaggio lappone sull’ordinata costruzione civile che è la Svezia nel nostro immaginario o perlomeno la Svezia di quei (favolosi) anni Sessanta.

Una scelta che, alla fine del romanzo, sottoscriveremmo anche noi.

Voto: 7