Alla base del filone cinematografico del “poliziottesco” dei primi anni '70, molto duri da un punto di vista politico e sociale, c'era una particolare visione ideologica?

No, solo la documentazione della crisi di un decennio (quello degli anni’70, molto travagliato dal punto di vista della criminalità. Insomma i nostri polizieschi erano il termometro che misurava la febbre di una società malata.

Qual era il target di pubblico al quale era diretto?

Il pubblico popolare, quello emarginato dei quartieri periferici, che oggi come allora si riconosce nei film che evidenziano subalternità sociali risolte spesso attraverso il crimine.

Una domanda per niente originale ma con la quale cerco di soddisfare la curiosità di molti lettori: dopo una vita passata nel mondo del cinema come si reinventato nell'attività di scrittore di polizieschi?

Il passaggio alla scrittura è avvenuto per continuare il colloquio con il pubblico attraverso i miei romanzi, che sono cinema su carta e affrontano temi simili, anche se legati a un’epoca antecedente a quella odierna.

 

Trattandosi di romanzi storici, quanto tempo le occorre per documentarsi?

Non molto, poiché narro eventi e personaggi che in parte ho vissuto nella mia adolescenza, specie per quanto si riferisce al cinema. Comunque, come si desume dalla bibliografica allegata a ogni volume, ho effettuato per ogni romanzo una minuziosa opera di ricerca storica.

 

Per quale motivo ha scelto di ambientarli negli anni '40?

Perché mi proponevo di raccontare, attraverso storie di cronaca nera, l’evoluzione del cinema italiano, dal periodo dei cosiddetti telefoni bianchi del 1940, alla nascita del neorealismo nell’immediato dopoguerra. Infatti tutte le indagini del protagonista, l’investigatore privato Bruno Astolfi, si svolgono sul set di grandi film di quel periodo. E parallelamente di contestualizzare la storia travagliata del nostro paese, dallo scoppio della guerra, nella primavera del 1940, alla sua fine nel 1945, con l’Italia ridotta allo stremo per le tragedie e devastazioni causate dalle vicende belliche.

 

Mi hanno riferito che lei è un grande esperto della guerra di Spagna. Pensa di scrivere un romanzo ambientato in quegli anni?

Ritengo la Guerra Civile Spagnola il fatto storico più importante e significativo del secolo XX°, in quanto fu l’inizio sul piano internazionale della lotta tra conservazione e progresso, tra fascismo e antifascismo. Ho scritto una sceneggiatura molti anni fa, GUERRA E RIVOLUZIONE, ma dopo l’uscita del film TERRA E LIBERTA’ di Ken Loach, ho trovato difficoltà produttive e ho accantonato il progetto.

Come nasce la figura dell'investigatore privato Bruno Astolfi?

Bruno Astolfi è un giovane commissario di polizia di origine toscana, brillante, sportivo, (ha praticato la boxe ai tempo dell’Università) pieno di doti investigative, ma decisamente antifascista. Non avendo voluto iscriversi al PNF, come era d’obbligo per i pubblici funzionari, è stato espulso dalla polizia. Si ricicla come investigatore privato e risolve il suo primo caso criminale a Cinecittà, per cui fa rapida carriera come investigatore dei divi del cinema.

 

Si è ispirato a qualche modello letterario dell'hard boiled?

Certo, al Philip Marlowe di Raymond Chandler, al Sam Spade di Dashiell Hammett, all’ Harry Bosch di Michael Connelly. Ma Astolfi ha una psicologia tipicamente latina, piuttosto simile a quella del Maigret di Simenon.

“Il clan dei Miserabili” è il sesto romanzo della serie. L'investigatore pratese Bruno Astolfi vivrà altre avventure letterarie in epoche più vicine a noi?

Non credo. O continuo la serie dal 1947 per gli anni immediatamente successivi della ricostruzione e del nuovo cinema italiano, o passo a un altro personaggio in thriller ambientati ai nostri giorni.

 

Ha pensato a un adattamento cinematografico o televisivo dei suoi romanzi?

Si certo, a una miniserie fiction, ma finora nessun produttore si è fatto avanti, nonostante che l’amico Giancarlo De Cataldo, che è un grande estimatore dei miei romanzi, sia convinto che il personaggio di Bruno Astolfi sembra scritto per il piccolo o grande schermo.

 

Grazie, e buon lavoro.

Umberto Lenzi (Massa Marittima, 6 agosto 1931) è un regista, sceneggiatore e scrittore italiano.

Lenzi ha frequentato i vari generi cinematografici: dai film di avventura di ispirazione salgariana, al genere spionistico con protagonista 007, ai film di guerra.

Inventa il filone “horror-cannibalico” e il "giallo erotico italiano", che in seguito egli stesso definirà "thriller dei quartieri alti".

Nei primi anni settanta e conseguentemente alla nascita del genere cinematografico italiano denominato come "poliziottesco" e iniziato con in film “La polizia ringrazia” (1972) di Steno, Lenzi viene riconosciuto come uno dei maestri del film poliziesco all'italiana. Firma alcune tra le più conosciute opere del decennio. Fanno parte di questo periodo “Milano odia: la polizia non può sparare” (1974), un film violento e atipico incentrato sull'ascesa criminale di un delinquente di piccolo calibro interpretato da un Tomas Milian ed altri due polizieschi molto violenti: “Roma a mano armata” (1976), con la coppia Milian e Maurizio Merli e “Napoli violenta” (1976).

Nel 2008 ha debuttato nella veste di scrittore di polizieschi storici ambientati nel mondo del cinema romano fra il '40 e il '47. Protagonista Bruno Astolfi, ex poliziotto diventato investigatore privato perché allontanato dalla polizia per la sua ostilità al regime fascista. I romanzi pubblicati ad oggi sono sei. DELITTI A CINECITTA’ (2008), TERRORE AD HARLEM (2009), MORTE AL CINEVILLAGGIO (2010), SCALERA DI SANGUE (2011), editi da Coniglio, SPIAGGIA A MANO ARMATA (2012) edito da Rizzoli, e Il Clan dei Miresabili (2014) appena uscito per i tipi di Cordero Editore.