Cari amici di Thriller Magazine, quello che state per leggere è un estratto dalla lunga intervista a Ken Follett realizzata da me e Sebastiano Pezzani che è stata messa in onda a Tutti i colori del giallo gli scorsi 16 e 17 ottobre, credo che vi divertirà. Follett era per l'occasione ospite del Festival della Letteratura di Mantova e non abbiamo perso l'occasione di interrogarlo.

È vero che ha iniziato la sua carriera letteraria come giornalista musicale?

Molto tempo fa. Nei primi anni '70 facevo il giornalista per conto del South Wales Echo e, fra le altre cose, mi occupavo anche di musica Pop. Parlavo di concerti, scrivevo recensioni sui dischi, ecc. La cosa più eclatante credo sia stata un'intervista a Stevie Wonder - credo fosse il 1972.

Le piaceva scrivere di musica?

Sì, molto. La musica era molto importante per me.

Lo è ancora?

Sì, come molte persone della mia età sono una appassionato soprattutto della musica degli anni '60 e degli anni '70. Oggi ascolto molti generi musicali ma al pari di molti miei coetanei la musica che preferisco è quella che andava di moda nella mia adolescenza. Io stesso suono in una blues band.

Davvero? E che strumento suona?

Il basso. E cantiamo tutti. Gli altri membri del gruppo sono più giovani di me e dunque tramite loro ho conosciuto la musica che andava di moda quando loro erano adolescenti.

Il gruppo è ancora in attività?

Sì. Facciamo le prove tutti i lunedì e di quando in quando suoniamo in qualche festa di amici, ai matrimoni, e così discorrendo.

Insomma, occasioni segrete?

Esattamente (ride).

Come si chiama la band?

Si chiama Damn right, I've got the Blues! È il titolo di una canzone di Buddy Guy. In realtà non è nemmeno una canzone particolarmente bella. Ma è un bel nome.

Pensa che il suo stile abbia un ritmo che in qualche misura riecheggia la musica che ascolta?

Molto tempo fa la mia vita ha preso un corso ben preciso. La musica io l'ho sempre suonata per divertimento. Ma è stata la letteratura ad ossessionarmi. Credo di aver preso certe decisioni quando ancora ero giovanissimo. Credo che se non si è ossessionati dalla musica all'età di dodici o tredici anni sia troppo tardi. La mia fiamma è stata la letteratura.

Dunque si è trattato di parole, non di note. Si è laureato in filosofia. Crede che la filosofia continui ad eserciti su di lei e sulla sua scrittura una certa influenza?

La filosofia mi ha interessato da giovane perché la mia era una famiglia religiosa. Da adolescente, mi ponevo quesiti molto importanti come, per esempio: credo in Dio? E se non credo in Dio, in cosa credo? Lo studio della filosofia mi ha fornito delle risposte. Ho lasciato l'università da persona serena, una persona consapevole delle cose in cui credeva. Quegli interrogativi non erano più motivo di turbamento per me. Non voglio dire che fossi riuscito ad avere tutte le risposte ma almeno quegli interrogativi non mi tormentavano più. Per lo meno ero riuscito a dare un senso alle cose. In un certo senso le cose che in precedenza avevano rappresentato per me motivo di preoccupazione, ora non mi angosciavano più. Ancor oggi, di quando in quando, vado a sentire delle conferenze tenute da filosofi.

Crede che i terribili fatti di cronaca internazionale forniscano a scrittori come lei spunti per scrivere nuovi romanzi oppure pensa che gli scrittori siano talmente indignati di fronte a ciò che è avvenuto da sentire il bisogno di distaccarsene?

In un thriller c'è sempre il pericolo che qualcosa di terribile succeda ma quel pericolo, nelle mie storie, viene sempre sviato. Prendiamo Nel bianco, il mio ultimo romanzo. Qualcuno cerca di trafugare un virus ma non ci riesce. Il virus non si allontanerà mai dal suo contenitore. Nella vita reale, invece, quando succede qualcosa e non si riesce a prevenire un disastro, per noi scrittori non c'è più nulla di interessante in quella storia. Ci risulta impossibile parlarne. Per esempio, credo che nessuno possa più scrivere una storia sul sequestro di ostaggi. Sono stati scritti molti buoni romanzi, molte storie elettrizzanti su tale argomento ma credo che oggi quella stagione sia giunta al termine. Infatti, chiunque decidesse di scrivere una storia del genere finirebbe per confrontarsi con un pubblico che avrebbe in mente gli eventi che si sono davvero verificati a Beslan e che non riuscirebbe a concentrarsi sulla storia. Quando succede qualcosa di terribile nella vita reale, diventa impossibile raccontare una storia che abbia uno sviluppo simile. Gli eventi reali uccidono la finzione. Sul piano personale, invece, queste cose mi fanno capire che oggi non è più sufficiente, a livello di politica internazionale, disporre di una grande forza militare per sentirsi protetti. L'unico modo per proteggerci è di instaurare buoni rapporti con i nostri vicini di casa. Credo che si tratti di una verità politica molto difficile da accettare per certa gente.

Qual è la sua opera più riuscita?

Il libro a cui sono più affezionato è I pilastri della terra che non è un thriller bensì un romanzo storico. Dopo il grande successo di quel libro, mi sono domandato perché mai sia piaciuto tanto alla gente. in realtà ho scritto un altro paio di romanzi storici di successo ma certo non hanno avuto lo stesso impatto avuto da quel libro. Forse si tratta di un romanzo molto lungo, così lungo che alla fine il lettore ha la sensazione di aver vissuto insieme ai protagonisti per tutta la durata della loro esistenza. Sono giovani quando il libro si apre e sono vecchi quando si conclude. Alcuni dei protagonisti muoiono prima della fine del romanzo. Dunque il libro trasmette un forte senso di immedesimazione nelle loro storie e di appartenenza al loro paese, Kingsbridge. Finisci per conoscerlo talmente bene che ti sembra di averci trascorso tutta la vita. Sono giunto alla conclusione che il successo di questo mio libro sia dovuto a queste ragioni. Al momento sto cercando di scrivere un altro libro nello stesso filone. Un libro altrettanto lungo e ambientato nel passato. Si è però trattato di un processo di scrittura molto faticoso e questa è un'altra ragione per la quale ho scelto di non scrivere subito un seguito. Infatti, per la prima volta nella mia carriera di scrittore, una volta concluso quel libro, mi è parso che la mia immaginazione si fosse inaridita.

Ci può dire come concepisce i suoi romanzi?

Sono costantemente in caccia di idee per le mie storie quando leggo saggi storici, articoli di giornale, romanzi di altri autori, oppure quando vado al cinema. Una buona idea per una storia è un'idea in grado di generare almeno cinquanta scene drammatiche. Di idee che siano in grado di fornire lo spunto per una o due scene ce ne possono essere tantissime ma solitamente per scrivere un romanzo servono cinquanta scene. Pertanto, quando si cerca l'idea di partenza di un romanzo, serve un'idea in grado di generare una cinquantina di scene. Prendiamo per esempio Nel bianco. L'idea che qualcuno trafughi un campione di un virus pericoloso da un laboratorio. Quest'idea fornisce un sacco di scene, le scene base, le scene di apertura. C'è la paura di essere sorpresi, la paura di essere infettati dal virus stesso; e poi c'è la fuga che ovviamente rappresenta il fulcro di questo libro perché i protagonisti vengono sorpresi da una tempesta di neve. Da un'idea molto semplice, cioè trafugare un campione di un virus da un laboratorio, discendono tantissime altre scene drammatiche. Da quest'idea di base risulta facile pensare a tantissime cose elettrizzanti che potrebbero succedere. Ecco ciò che cerco di trovare: una storia che mi dia tutta questa eccitazione.

C'è un romanzo che le sarebbe piaciuto scrivere e che invece è stato qualcun altro a scrivere?

Il silenzio degli innocenti. Credo sia un thriller eccezionale e che abbia per protagonista il miglior cattivo di tutti i tempi. Mi piace anche la protagonista positiva ma Hannibal Lecter è il cattivo più impressionante che ci sia mai stato. Un personaggio straordinario. Credo di poter dire che l'eroina del romanzo sia stato io a inventarla, in un certo senso, perché io sono stato il primo a utilizzare una donna come protagonista positiva di un romanzo thrilling. La cruna dell'ago rappresenta una prima volta assoluta. Così quando Thomas Harris, una decina d'anni dopo, ha fatto altrettanto utilizzando una investigatrice della FBI, mi sono detto che quella era fondamentalmente una mia invenzione. Beh, certo non percepisco dei diritti, non ho nessun copyright su questa idea. Ma certamente adoro il cattivo di quella storia. Lo adoro. Non ho mai letto un thriller il cui cattivo incutesse più timore di quello. Un personaggio semplicemente perfetto. Tutto è straordinario, a partire dalla struttura della storia. La risposta, dunque, è sì. Quel libro avrei voluto scriverlo io!

Quali sono allora gli scrittori che hanno infestato i suoi sogni giovanili?

Il più importante è stato Ian Fleming, l'autore delle storie di James Bond. Ho letto la prima storia di James Bond all'età di dodici anni. Sono rimasto sconvolto: mi sembrava la cosa più straordinaria mai scritta. Il suo eroe era un vero duro, era elegantissimo, era esperto di tutte le cose che intrigavano un adolescente come me, ovvero armi da fuoco, cocktail, sigarette e donne. Insomma, sono rimasto basito. Naturalmente, oltre ad avere un protagonista straordinario, le sue storie erano scritte meravigliosamente bene, avevano un ritmo forsennato. Quando io stesso ho iniziato a scrivere e mi sono messo a scrivere dei thriller, avrei voluto ricreare nei miei lettori lo stesso tipo di entusiasmo che avevo sperimentato attraverso la lettura delle storie di James Bond. Era quello il mio vero obiettivo. Mentre leggevo Ian Fleming, negli anni dell'adolescenza, leggevo anche William Shakespeare. E lo leggevo per il piacere di farlo e non perché fossi costretto per motivi scolastici. In effetti, la scuola ha fatto di tutto per farmelo detestare ma io prendevo a prestito i suoi libri e li leggevo per conto mio. Purtroppo non posso dire di essere stato influenzato da Shakespeare ma leggere i suoi drammi e assistere alle rappresentazioni dei suoi drammi ha rappresentato per me uno dei grandi piaceri della vita.