A dieci anni esatti dalla lavorazione di Sahara di Zoltan Korda il mondo è molto cambiato. È finita la guerra, e non è poco, il mondo è in ripresa e l’incubo della Guerra Fredda, del Vietnam e dell’Equilibrio del Terrore è ancora di là da venire. Gli sceneggiatori hollywoodiani sono quindi disperati: chi è ora il nemico? Chi sono i cattivi perfidi e biechi che assediano i buoni?

Qualche nazista e qualche comunista lo si può sempre tirare fuori, ma è meglio tenersi buoni anche i cari vecchi nemici storici della fiction americana: i pellerossa. Cosa c’è di più americano di un film sugli indiani? Semplice: un remake! Inoltre in attesa di nuovi grandi nemici e fenomenali disgrazie planetarie, le major hollywoodiane sanno che possono sempre contare sul buon vecchio gioco dello scopiazzamento.

         

Alla fine del 1952 la Columbia Pictures - la casa del citato Sahara - chiede allo sceneggiatore Kenneth Gamet di fare quello che egli sa fare meglio: trasformare le ormai fuori moda storie di guerra in più apprezzate storie da Far West. La Columbia aveva già scopiazzato Sangue sulla sabbia per girare Sahara e nessuno aveva detto niente: perché non ripetere l’operazione? Perché non scopiazzare a sua volta Sahara per un nuovo film che possa quindi contare su un sicuro successo?

Malgrado non venga specificato nei titoli di testa, la sceneggiatura di Sahara viene ricalcata in modo fedele per il film The Last of the Comanches, che esce nei cinema americani nel febbraio 1953. L’accoglienza in Italia per quello che viene chiamato Nuvola nera, una pellicola curata «con abilità, anche se con supina osservanza d’una ricetta ormai decrepita» (come recita il lancio de “La Stampa” del 27 ottobre 1953) non sembra essere calorosa. «Tutto è risaputo in questo technicolor ma tutto vi è piacevole per condotta lineare e linda fattura.»

Seguendo il cambio della moda, il carro armato diventa diligenza, i tedeschi diventano Comanches, il Sahara diventa l’Arizona, le rovine arabe diventano una vecchia missione e i soldati diventano... be’, rimangono soldati, anche se di altra specie. Una differenza però c’è: nella diligenza c’è anche una viaggiatrice.

Il suo peso nella sceneggiatura è davvero nullo, malgrado la notorietà dell’attrice Barbara Hale (la celebre Della Street della serie Perry Mason): sta lì senza far niente per tutto il film. In realtà è una citazione: non solo stanno copiando da Sahara, ma anche dal sovietico Sangue sulla sabbia, il film originale di Mikhail Romm in cui la moglie del protagonista non ha un ruolo attivo ma testimonia il coraggio e l’abnegazione di tutte le donne sovietiche.

          

André De Toth dirige in Arizona la storia di un manipolo di soldati guidati dal sergente Matt Trainor (Broderick Crawford) che, perlustrando un territorio desertico a forte rischio di insurrezione indiana, incontrano una diligenza con una donna a bordo. E qui la strizzata d’occhio a Ombre rosse ci sta tutta.

Iniziano a scortare la diligenza ma ben presto la carenza d’acqua si fa sentire, ed ogni oasi è secca e ogni pozzo è prosciugato. Incontrano un ragazzino indiano che promette acqua, ma li porta in una vecchia missione dove di acqua ce n’è giusto un refolo. Accampati lì, i soldati scoprono ben presto di essere circondati dai Comanches, anche loro assetati: inizia l’assedio e il gioco psicologico per salvare la pelle.

Il film è una fotocopia di Sahara, anche se in salsa western, e non dev’essere un caso se entrambi i film vantano la partecipazione del giovane Lloyd Bridges (secondario nel primo, co-protagonista nel secondo): quasi una strizzata d’occhio allo spettatore per informarlo che la storia è la stessa. Come se non bastasse, la pellicola è girata in quella location californiana di Buttercup Dunes dove quasi trent’anni prima John Ford aveva girato La pattuglia sperduta.

Lloyd Bridges
Lloyd Bridges
C’è da notare che mentre Sahara nel ’42 aveva stupito il mondo per aver utilizzato un attore di colore, nello stesso ruolo dieci anni dopo la Columbia non se l’è sentita di mostrare un vero indiano: si è preferito utilizzare un bambino vestito sommariamente da pellerossa. Non solo la guerra è finita e si può anche essere tutti più cattivi, ma le organizzazioni a favore dei nativi americani non sono ancora così potenti come quelle delle coloured people, che imposero negli anni Quaranta attori di colore in pellicole da cui erano di solito tagliati fuori.

La pellicola è ruvida e la presenza del colore non aiuta a mascherare una fattura onestamente rozza. A quasi sei mesi di distanza, quindi, il film non può sperare di superare il successo di una pellicola a basso costo uscita nel luglio 1952, prodotta dalla neonata Stanley Kramer Productions ma distribuita dalla United Artists. Una pellicola dal titolo Mezzogiorno di fuoco.

           

Una piccola “vendetta” però De Toth se la prende. Nel 1954 esce al cinema un suo piccolo film che merita però una citazione: L’assedio di fuoco (Riding Shotgun, che arriva in Italia nel febbraio 1955), ideato da un professionista della narrativa western come Kenneth Perkins.

Quando il pistolero Larry Delong (Randolph Scott) arriva in un paese per avvertire che sta arrivando la banda del pericoloso bandito Dan Marady (James Millican), tutti credono invece che Delong stesso faccia parte della banda, e visto che gli uomini di Marady (fra cui un giovane Charles Bronson!) si sono appena macchiati di un crimine, la folla vuole impiccare Delong. A nulla vale ogni difesa, e il pistolero si rinchiude nel saloon tenendo a bada a suon di proiettili la folla forcaiola, in attesa che arrivi il vero pericolo, cioè la banda di Marady.

Il film sembra una curiosa operazione che vuole rielaborare i temi di Mezzogiorno di fuoco, però al contrario. Rimane il buono da solo contro una banda di cattivi che sta per arrivare in paese, ma stavolta la cittadinanza non è con lui bensì pronta a linciarlo. Invece della gente chiusa in casa e il buono solo per le vie, c’è il buono assediato nel saloon con le vie piene di forcaioli.

Di lì a poco, un mostro sacro del genere come Howard Hawks vuole fare la stessa cosa: prendere Mezzogiorno di fuoco, “smontarlo” e ricrearlo tutto al contrario. Sta per nascere la più grande storia d’assedio western del cinema... Ma ne parleremo la settimana prossima.