Dovrò scoprire se aveva nemici... Perché quanto preoccupa Serra non è poi assurdo. L’arma del delitto è probabilmente una spranga, arma abbastanza amata da chi non è solito affrontare un nemico a viso aperto.

Qui non posso fare altro, dovrò aspettare i risultati dell’autopsia e della Scientifica. Ritorno in Questura; sono appena entrato nel mio ufficio che bussano alla porta.

Quando dico di entrare mi trovo davanti l’agente Anselmi. È molto formale in tutto, non soltanto per la divisa. – Agente Anselmi, commissario. Comandi.

È rimasto immobile, peggio che sull’attenti, devo dirgli di sedersi, un gesto non basta. – Il vicequestore Serra mi ha comunicato che mi avrebbe affiancato nelle indagini per l’omicidio Gambaro.

– Sì, commissario, sarò ai suoi ordini.

Ordini? Questo lavoro mi piace sempre meno...

– Le riferisco la situazione delle indagini e mi dice cosa ne pensa. Le va bene?

– Come comanda, commissario.

Ingoio una risposta pungente e gli riferisco il poco che so. Non prende appunti anche se ha un notes in mano. – Cosa ne pensa, Anselmi?

Invece di rispondere alla mia domanda ha aperto il notes. – Mi sono permesso di iniziare un po’ di lavoro d’ufficio, commissario.

Mi guarda e per la prima volta noto un guizzo, forse divertito, nel suo viso impassibile.

– Inseguimenti, scontri a fuoco, pedinamenti non sono il mio forte, commissario, ma nel lavoro d’ufficio me la cavo discretamente.

- Bene.

Ritorna impassibile: – La vittima viveva solo. Vedovo.

- Lo so.

Mi lancia un’occhiata perplessa. – Non vorrei aver effettuato una ricerca già fatta...

– No, nessuna ricerca. Lo conosco, anzi lo conoscevo da sempre. Era un amico di famiglia. Non gliel’ho detto perché non lo ritenevo importante.

– Sì, certo. Scusi l’indelicatezza, commissario.

Ho lavorato il sabato e pure la domenica, perché non ho famiglia e sono l’ultimo arrivato. La telefonata mi ha buttato giù dal letto e da ieri sera non ho preso neppure un caffè.

Ho visto morto ammazzato un uomo che stimavo. Ho incontrato mia madre dopo molti mesi che non la vedevo. Ho subito il discorsetto del vicequestore...

Sbotto: – Allora, Anselmi! Se dobbiamo lavorare insieme cerchiamo di essere meno delicati e riguardosi. Si dice quello che si pensa e si fa quello che si ritiene giusto. Senza tanti giri di parole.

Silenzio. Forse l’ho offeso. Sto cercando un modo accettabile per scusarmi quando dice: – Senza tanti giri di parole, come dice lei, commissario, cosa fa di solito quando è nervoso? Tanto per saperlo e regolarmi di conseguenza. Ad alcuni fa bene gridare un po’. Basta saperlo.

Ha ragione.

- Un caffè.

- Lo prenda, per favore.

La macchina distributrice è in corridoio, in una rientranza. Torno in ufficio con il mio bicchierino e Anselmi è ancora lì dove l’ho lasciato. Ha rifiutato la mia offerta di prenderlo insieme, perché soffre di stomaco.

Il caffè è orrendo ma mi fa bene.

Tolgo dalla tasca dei pantaloni un pacchetto cincischiato e mi blocco.

– Per me fumi pure.

La accendo e comincio. – Alla fine della guerra mia madre ha conosciuto Primo – subito mi correggo – Pietro Gambaro, partigiano. Lei aiutava come poteva, era ragazzina e portava messaggi, provviste...

– Rischioso.

– Immagino che fosse piuttosto decisa, come adesso. Hanno continuato a frequentarsi anche dopo il ’45. Poi, con gli anni, i rapporti si sono diradati, ma mai troncati del tutto. Lo ricordo al funerale di mio padre e ho accompagnato mia madre a quello della moglie e, saranno cinque anni, a quello di Giacomo, l’unico figlio.

Resta in silenzio.

– Non deve essere stato facile neppure per lei, commissario, scoprire che il morto era un amico.

– Sì. Ho i nervi un po’ tesi; di solito non alzo la voce.

– Così si dice in corridoio. Nessuno che l’abbia mai sentito gridare.

Forse perché, in questi mesi, ho sempre cercato di essere invisibile? È un pensiero molesto.

– Mi diceva che ha fatto un po’ di lavoro d’ufficio...

Anche lui sembra sollevato di poter tornare alla consueta impassibilità. – Vedovo, viveva solo in un alloggio di proprietà in via Balbi Piovera, poco lontano dall’ospedale di Villa Scassi.

Lo lascio continuare, anche se ho vissuto per anni a Sampierdarena e la conosco.

– Dove prima di ritirarsi era medico chirurgo. – Mi guarda. - Ma lei lo sa meglio di me.