Forse l’agente non si stupisce perché se ne frega, ancora più probabile.

Per rimuovere il corpo aspettiamo l’arrivo del medico legale, mi è già stato comunicato che sarà il dottor Torrazzi. Non ricordo di averlo già incontrato, ma sono stato destinato a Genova da poco e mi sono anche tenuto in disparte.

Dall’auto che accosta poco lontano, in divieto, scende un uomo, massiccio ma più basso di me e più anziano; si avvicina senza fretta: – Sono Torrazzi.

Apprezzo che non porga la mano in un gesto di saluto ormai privo di senso. Mi adeguo: – Mariani.

– Quello nuovo?

Annuisco: – Sì, quello nuovo. – Mi chino accanto al corpo. – Ho bisogno di qualche indicazione, anche sommaria, per iniziare.

Tocca il corpo: – Sarò più preciso dopo l’autopsia, ma direi che la morte risale alla nottata, diciamo da mezzanotte alle due, al massimo. Colpito con un corpo contundente – indica la testa – probabile trauma cranico se non sono intervenuti altri fattori. – Pausa. – Doveva avere già una certa età.

– Settantacinque – perché mi sono già fatto due conti in testa, confrontandolo con mia madre.

– Ben portati... – ha commentato fra sé prima di aggiungere: – Trovato documenti? Se si sa l’età...

– Niente documenti. – Mi alzo. – Quando può farmi avere i risultati dell’autopsia?

- Faccio più presto che posso. Appena ho concluso la chiamo.

- Quando può farmi avere il referto?

Oscilla il corpo massiccio da un piede all’altro: – Preferirei telefonare, per scrivere il referto ci vuole il suo tempo.

– Va bene.

Ho tagliato corto perché ho già la testa da un’altra parte.

Ora il cadavere viene rimosso, in fretta, per non impicciare

ancora di più il traffico che sta montando. Fra poco la vecchia via del tram sarà un serpentone di auto in coda ferme, come ogni giorno lavorativo.

Ritorno verso la mia auto, perché quando sono stato chiamato ero a casa e ho preferito arrivare direttamente.

Da Sampierdarena ritorno verso il centro e risalgo i Corsi fino alla casa di mia madre: zona maledetta per trovare posto. Potrei piazzare l’auto dove capita, in fondo sono quasi in servizio.

Il portone è chiuso; suono, lei risponde al citofono: – Chi è?

- Sono Antonio. Posso salire?

- Ti apro.

È stata peggio che fredda, indifferente.

Al pianerottolo la porta è aperta, lei si scosta per farmi entrare. Da tre mesi non la vedo, mi sembra molto più vecchia, nonostante la solita tenuta che può anche essere da ragazzina: jeans e maglia blu, capelli grigi tagliati corti.

Si chiude la porta alle spalle: – Che cosa c’è? Perché sei venuto?

– Devo parlarti.

– Dimmi – siamo nell’ingresso, come è d’uso quando si prevede una visita brevissima.

– Posso entrare?

Come risposta mi gira le spalle e mi precede in cucina: è meglio che se mi avesse fatto “accomodare” in salotto. Ma non si siede e non mi dice di sedermi.

– Allora, che cosa c’è di così importante?

– Ho preferito venire a dirtelo di persona, mi dispiaceva che tu lo sapessi da estranei o dalla radio. O dai giornali. – Perché non guarda la TV.

– Che cosa non devo sapere da estranei? – la sua occhiata mi dice che sono un estraneo anch’io.

- Pietro... Primo è morto.

- Primo?

– Sì. Se ricordo bene Pietro Gambaro un tempo si faceva chiamare Primo.

Si accosta al tavolo, sposta una sedia e si siede. Non piange, non è donna da lacrime.

- Ne sei sicuro?

- L’ho riconosciuto.

Si passa una mano fra i capelli.

- Hai una sigaretta?

Le porgo pacchetto e accendino.

Li prende: – Avevo deciso di smettere.

- Vecchia storia, almeno in questo non è cambiata.

Una boccata, due, poi chiede: – Come è stato?

- Penso che sia stato ucciso, mi hanno chiamato, non aveva documenti, ma l’ho riconosciuto.

Mi fissa, di sotto in su, ma è come se mi squadrasse dall’alto. – Allora sei in veste ufficiale, da questurino.

– No, almeno non qui, adesso. Non volevo che lo sapessi da altri.

- L’hai già detto.

Vero.

- Come è stato?

– Ancora non sappiamo, ma penso che sia stato ucciso con un colpo alla nuca.

- Arma da fuoco?

- No, perché?

Alza le spalle: – Così. Allora come è stato?

- Corpo contundente. Forse una spranga.

- Bastardi.

Perché al plurale? – Sai qualcosa?

- Me lo chiedi come figlio o come questurino?