Primo capitolo del romanzo Primo (2008) di Maria Masella, per gentile concessione di Fratelli Frilli Editori.

CAPITOLO 1

Lunedì

La chiamata è per via Buranello, la vecchia “via del tram”: da una parte i palazzi e dall’altra la massicciata della ferrovia.

Il cadavere, seminascosto dai cassonetti, è stato trovato dagli addetti dell’AMIU in uno degli archivolti sotto la massicciata. Le pietre vecchie sono adorne di manifesti: annunci funebri e proclami politici a strati; alcuni, recenti, spiccano ancora bianchi, ma presto avranno, come gli altri, il colore grigionero delle pietre. Lì sotto c’è odore di orina e spazzatura fermentata.

E di morte.

Il corpo è di un vecchio e non c’è bisogno di essere un medico per capire che è stato colpito al corpo e alla nuca, probabilmente con una spranga.

– Documenti? – chiedo all’agente fermo accanto al corpo.

– Niente, commissario. Ho cercato nelle tasche, ma non ho trovato niente.

Mi chino per vedere in viso l’uomo disteso a terra su un fianco e faccio segno all’agente di farmi luce, perché manca poco alle sette e in questa stagione è ancora buio.

Mi chino e per poco non perdo l’equilibrio.

E ora come lo dico a mia madre? È questo il primo pensiero.

Il secondo è che proprio a me doveva capitare? Perché lui lo conosco bene.

Mi alzo cercando di assumere la giusta espressione di un commissario di polizia impegnato in un’indagine. È il mio primo caso di omicidio a Genova: – Testimoni?

L’agente mi indica i due dipendenti dell’AMIU a pochi passi di distanza: uno sta fumando una sigaretta, l’altro ha in mano un bicchierino di carta. Immagino che sia caffè; ne ho una voglia pazza, come di una sigaretta.

Mi avvicino e mi qualifico: – Commissario Mariani Antonio.

– L’hanno ammazzato a sprangate? – Precede le mie domande quello con la sigaretta; la tiene protetta nell’incavo della mano, come chi è abituato a fumare all’aperto e non vuole farsela finire dal vento.

Anche lui faceva così... Scaccio il pensiero disturbante, perché deve essere un caso come gli altri, e rispondo: – Sarà il medico legale a stabilirlo. Vorrei sapere come e quando l’avete trovato.

È l’altro a rispondere: – Il mezzo qui non possiamo fermarlo, così ci si accosta là.

Il là è ad una decina di metri, su un passo carrabile, perché il posto riservato AMIU è stato occupato da un’auto. Forse coglie la mia occhiata e aggiunge: – Succede sempre e ci si mette dove capita. Prendiamo i cassonetti e li portiamo al mezzo. Ma prima dobbiamo togliere la rumenta sparsa. Tutti a metterla dove capita. Così non l’abbiamo visto subito, ma soltanto dopo averlo smosso.

Se c’era qualche traccia sarà andata a farsi fottere: – A che ora?

– Le sei, minuto più, minuto meno.

La telefonata è arrivata in Questura alle sei e dieci, il tempo necessario per riprendersi.

– Avete notato qualcosa di anomalo – mi correggo – di diverso dal solito?

Quello con il bicchierino mi lancia un’occhiataccia: – So cosa vuol dire anomalo. Ho laurea in lettere, per quello che mi è servita. – Beve scolando fino in fondo il bicchierino. – No, niente di diverso dal solito. Al lunedì ci sono più bottiglie, più contenitori per pizza da asporto, soprattutto. Un lavoro da schifo. – Indica l’altro marciapiede sempre sotto l’archivolto. – Pure colla rovesciata. Per fare presto ne danno a spreco.

Vero, anche da qui si vede un foglio firmato da un gruppo maoista. È raggrinzito come quando si usa troppa colla, è anche recente perché quasi bianco. Come un manifesto funebre, molto tempestivo, per il morto ammazzato a pochi passi.

L’uomo dell’AMIU sta continuando: – Da quando l’abbiamo trovato non abbiamo più toccato niente, per non distruggere eventuali prove. Per lo stesso motivo non abbiamo tolto la spazzatura rimasta.

Sembra esperto, deciso. Più di me.

Ringrazio della collaborazione e li avviso che un agente si occuperà di prendere le loro generalità.

Ritorno accanto al corpo e comunico all’agente cognome e nome del morto.

Se si stupisce che io le conosca non lo dimostra. Forse immagina che un commissario come il sottoscritto sappia tutto. Genova, come sede, non l’avevo chiesta, ma mi ci hanno mandato, quattro anni dopo aver superato l’esame per diventare commissario: il tempo minimo. Forse per caso, forse per sottile ironia burocratica. Sono commissario senza essere stato ispettore; sono genovese e destinato subito a Genova... In Questura mi guardano come uno strano animale, forse supponendomi ammanicato in alto loco.