Lo scrittore ci conduce per mano in Terrasanta, negli anni difficili in cui la cristianità cercava di difendere le sanguinose conquiste della prima crociata: Gerusalemme ed il Santo Sepolcro.

Essa era l’ambita meta di pellegrinaggi fruttuosi di indulgenze, che lavassero i peccati di una vita; in un Medio Evo immerso nella superstizione, dove ogni segno era un presagio, calpestare il suolo dove aveva camminato il Cristo, poteva essere il sogno di una vita.

  

Nulla nasce dal nulla e finisce nel nulla: con L’ultima battaglia dei Templari Giorgio Albertini ci mostra la genesi della battaglia di Hattin, che segnò la fine di un’epoca, la perdita di Gerusalemme il 4 luglio 1187; ci fa esplorare tutto il territorio circostante, via via fino in Egitto, nei paesi cattolici spagnoli, francesi e del Sacro Romano Impero, nella Roma dei Papi, a Costantinopoli, attraverso la penisola anatolica, per tornare nei territori strappati dai crociati, giù fino a Gerusalemme.

Ci spiega chi viveva questi paesi, come erano governati, chi erano questi misteriosi infedeli che chiamavano saraceni, turchi che si credevano tutti uguali, ma che erano in continua lotta fra di loro per il predominio, onde individuare chi era il nemico acerrimo e chi il confinante con cui potersi accordare.

In quest’epoca la diplomazia non si poteva usare: cristiani contro infedeli, fino al sacrificio finale. Solo retorica che si andava superando, per un tempo in cui i cavalieri si mettevano al soldo del migliore offerente; in cui gli abitanti, che per generazioni risiedevano in Terrasanta, avevano convissuto con musulmani, ebrei, armeni e tante altre sfumature di cristianità; in cui il buon vicinato permetteva il libero commercio delle merci, che conveniva a tutti: alle Repubbliche Marinare ed alle carovane del deserto, che portavano le merci dall’Asia.

Nella piana di Hattin si infransero i sogni di convivenza, prevalse l’intransigenza, l’integralismo e la guerra corpo a corpo trionfò.

 

La guerra è brutta, in tutte le epoche, ma Albertini ci mette in guardia da facili sentimenti di orrore: violenza, saccheggi, stupri, espoliazioni per un bottino più o meno ricco, dove una veste, anche lacera e sanguigna, poteva essere preziosa in un periodo di povertà estrema, era la guerra che si combatteva ovunque, in questo periodo della Storia. Già durante il combattimento si sceglieva la preda da agguantare, quella che avrebbe permesso un bottino più fruttuoso.

Dopo la battaglia in cui la cristianità uscì sconfitta, la piana di Hattin era cosparsa di cadaveri e feriti nudi; dopo 10 anni, un passante annota che la piana è ancora bianca dalle ossa di quei poveri morti, dopo che altri animali sono passati a spogliarli della carne.

La Storia, come ce la racconta Albertini, è meglio di un romanzo di avventure: è tutto vero, è tutto successo; lontano da noi nel tempo, ma documentato da testi cristiani e non. Il testo si snoda fluido in una facile lettura, accessibile a tutti, sempre ricca di particolari interessanti ed affascinanti. Si chiariscono tanti punti, oscuri in altri testi, e si conosce la Storia come i banchi di scuola non potranno mai fare.

 

Libro che non può mancare in una biblioteca storica e che è da conoscere assolutamente da chi è curioso e vuole saperne di più di un mondo, che non è poi così lontano, dove il passato influisce ancora nel presente e nel futuro.