Pur nell’alluvione di noir provenienti dal Grande Nord che caratterizza questa stagione dell’editoria italiana, la Finlandia è sempre rimasta assai defilata e i romanzi d’indagine da lì arrivati sui nostri scaffali possono contarsi sulle dita di una mano.

Aliberti ha tentato con Morte a Helsinki il colpaccio: autore famoso in patria (Jarkko Sipilä), un ciclo di ben undici inchieste dedicate al commissario Kari Takamäki, una serie televisiva con lo stesso protagonista e, particolare non meno importante degli altri, lo sbarco sul difficile mercato anglosassone proprio con questo romanzo, peraltro vincitore di un premio letterario in patria.

Ma il diavolo, si sa, si annida nei particolari e l’auspicabile botto non c’è stato: non solo e non tanto per la (mancata) qualità della storia, ma anche per una certa sciatteria nel porgere al lettore italiano quella che doveva risultare a tutti gli effetti una chicca editoriale.

Non ci siamo irritati più di tanto per la volutamente ambigua nota di quarta di copertina in cui Morte a Helsinki viene definito come “il primo di un ciclo di romanzi noir che ha per protagonista il commissario Takamäki”: primo (forse nelle intenzioni di chi ha scritto la nota) a essere tradotto in inglese e italiano, ma – una rapida ricerca nella rete aiuta sempre in queste situazioni – ottavo a essere pubblicato in Finlandia. Poca roba, appunto: da tempo denunciamo, naturalmente inascoltati, il pessimo vezzo non solo di non rispettare l’ordine d’uscita dei romanzi seriali – ubbìa forse di inguaribili fan – ma anche la presunzione di credere che un moderno lettore si fidi sempre e soltanto delle note bio-bibliografiche approntate da redazioni e uffici-stampa non sempre impeccabili.

Viceversa a crearci qualche piccolo travaso di bile è stata la presenza qua e là di errori di battitura e, a p. 213, addirittura l’imperfetta formattazione in Word – che tutti noi abbiamo sperimentato almeno una volta nella vita – in cui il segno dell’apostrofo si trasforma in un quadratino: una maggiore attenzione nell’editing non ci sarebbe dispiaciuta, pur trattandosi di un noir. L’impressione è stata infatti di un calo di attenzione editoriale riservata a un romanzo, forse inconsciamente, ritenuto di serie inferiore: e in questo senso la presenza all’inizio dell’elenco dei personaggi principali può essere un’utile spia. Sia chiaro: in libri in cui l’onomastica è assai difficile da memorizzare, il suddetto elenco rappresenta una manna non solo per il normale lettore ma anche per il recensore più smaliziato. Ma è un fatto che un simile accorgimento – che, com’è noto, caratterizza diverse collane specializzate come “Il Giallo Mondadori” o “Segretissimo” – non viene utilizzato per romanzi ritenuti, a torto o a ragione, “seri”: vi è mai capitato di vedere tale elenco nei pur intricatissimi (anche a livello onomastico) noir di Ian Rankin o di Henning Mankell, tanto per fare due nomi?

La traduzione infine ha forse sofferto di una qualche forma di esuberanza lessicale: non conosciamo naturalmente il finlandese né abbiamo avuto sottomano l’edizione originale, ma – sempre pronti a fare ammenda di fronte a inoppugnabili prove – paragoni di realtà locali finniche al nostro parco divertimenti di Gardaland o espressioni un po’ troppo caratterizzate come “la rava e la fava”, ci sono sembrate un tentativo eccessivo di italianizzazione del testo: quando invece, meritoriamente, numerose note a fondo pagina hanno viceversa tentato con successo di spiegare espressioni idiomatiche o indicazioni storico-geografiche altrimenti inspiegabili.

Esaminata dunque – forse con estrema severità – la buccia, sarebbe ora, direste voi, di andare alla polpa del nostro frutto letterario. Ma anche qui le cose non vanno troppo bene.

Una città flagellata dalla pioggia e dalla neve di un tetro inverno nordico, Helsinki; una Unità Crimini Violenti con un commissario Takamäki che coordina il lavoro di due donne, il suo braccio destro Anna Joutsamo e Kirsi Kohonen, e di due uomini, Mikko Kulta e il suo braccio sinistro Suhonen; quest’ultimo si diletta a infiltrarsi nella malavita con la falsa identità di un gangster di Lahti, Suikkanen; e ha come informatori un tossico – Jose Saarnikangas – e un criminale – Eero Salamela – che ha condiviso con lui l’infanzia e che i fatti della vita hanno posto sui lati opposti della barricata. Aggiungiamoci un bel contrabbando tra Finlandia e Russia, un funzionario doganale corrotto, un avvocato di pochi scrupoli con il suo tirapiedi Markus Kylmäkoski e una banda, quella dei Teschi, che assomiglia molto a una cosca mafiosa.

Domanda: cosa c’è di nuovo sul fronte settentrionale?

Nulla, assolutamente nulla: ambientazione (volutamente?) anonima in una Helsinki scarsamente caratterizzata nonostante alcune descrizioni di monumenti da guida turistica; blanda critica al sistema socio-politico finlandese (qui soprattutto all’ambigua politica estera durante la Guerra Fredda); vicenda abbastanza lineare, per non dire banale, nonostante i doppiogiochisti in ballo; personaggi stereotipati, con una vita privata (e relativa psicologia) ridotti al minimo sindacale; buoni che vincono e cattivi che perdono; trovatine da fiction televisiva (ad esempio il solito microfono nascosto che registra conversazioni compromettenti).

Niente della complessità – talvolta sicuramente lenta e addirittura noiosa – del migliore noir scandinavo letterario; e assai poco della sarabanda di colpi di scena appendicistici alla Stieg Larsson; prodotto seriale, dunque, con scarse velleità di denuncia sociale; e tutto sommato uno stanco manierismo hard boiled in salsa finnica.

Un’occasione davvero persa.

Voto (comprensivo di peritesto ed editing): 4.5