Gradevole ghost story di impianto classico, più che presentare elementi nuovi si limita a rielaborare tematiche già affrontate con una ricetta che, laddove non esalti il gusto, sicuramente fa alzare da tavola soddisfatti.

1921 – Il mistero di Rookford non verrà ricordato negli annali del genere, ma garantisce un paio d’ore di godibile intrattenimento, e di questi tempi è un risultato tutt’altro che disprezzabile.

Siamo nell’Inghilterra del 1921, ancora ferita dalla Prima guerra mondiale, dove una donna che abbia studiato viene vista come un fenomeno stupefacente e forse un po’ inquietante. Il cervello delle donne, ci informa un personaggio, non è fatto per una ingente mole di nozioni e cultura...

Da queste basi razziste nasce lo stupore di chi incontra Florence Cathcart, donna istruita che per lavoro svela i presunti casi di comunicazioni con il mondo degli spiriti, apparizioni medianiche e tutto il circo spiritistico di cui la gente comune non può fare a meno e con cui gente poco onesta fa soldi a palate. La donna ha anche scritto un libro sull’argomento, e proprio grazie a questo viene raggiunta da Robert Mallory: egli è incaricato di assumerla per una questione spinosa incorsa nel collegio dove lavora.

Cosa c’è più di più classico di un collegio disperso nella campagna inglese, algido e dismesso? Quale migliore abitazione per povere anime dannate? Eppure Florence non crede ai fantasmi, quindi si prepara ad affrontare il “fantasma di Rookford” in modo scientifico e addirittura tecnologico. Strumenti ed alambicchi vari le serviranno per rilevare presenze ectoplasmatiche e diventare una vera e propria ghostbuster ante litteram!

Ci saranno presenze, misteri, scheletri negli armadi e segreti inconfessabili. Il menu prevede ogni portata che si addica alla ghost story, senza alcuna esclusione. Malgrado il condimento sia poco (cioè l’originalità dei singoli elementi del film sia davvero scarsa), il pasto nel suo complesso è appetibile e lascia soddisfatti.

Il regista-sceneggiatore – sebbene alle primissime armi in campo cinematografico - è conscio che sta raccontando una storia già nota a chiunque conosca il genere, è perfettamente consapevole che lo spettatore smaliziato conosce a menadito i trucchetti di questo tipo di film: Nick Murphy (con l’aiuto di Stephen Volk, sceneggiatore di piccoli cult come L’albero del male e Gothic) si fa furbo e sfrutta questo difetto a proprio vantaggio. Per tutta la pellicola ci sono situazioni già note agli spettatori che però vengono ribaltate, inquadrature ovvie che cercano invece di stupire, così come colpi di scena annunciati lo stesso studiati in modo da risultare gradevoli.

Il mistero di Rookford è la prova che non bisogna per forza inventarsi qualcosa di nuovo - in un genere che davvero sembra allergico alle novità - per creare un prodotto gradevole senza l’ambizione di essere un capolavoro.