Il 14 marzo muore Irene White, «la più grande scrittrice del mondo» nelle non certo oggettive parole del suo agente letterario. Proprio lui, Arthur Stein, è la prima e principale vittima di questa prematura scomparsa: la White infatti porta nella tomba il finale esplosivo di un suo romanzo giallo che prometteva di fare scalpore... E come fa ora Stein a vendere alla casa editrice un giallo senza finale?

La situazione sarebbe diversa se la White prima di morire avesse lasciato indicazioni sul colpo di scena finale che aveva in mente, un qualche indizio che comunque Stein potesse sfruttare: l’agente letterario infatti prende anche in considerazione di far finire il romanzo a un qualche «scrittore fantasma, uno di quegli scrittori prezzolati, cioè, che scrivono sotto firma altrui.» Però, riflette Stein, gli editori di oggi vengono tutti da Harvard e certe soluzioni non piacciono loro...

               

Con questa trama stuzzicante, nell’estate italiana del 1984 incontriamo il termine ghost writer, che addirittura consiste nel titolo originale del racconto “Lo scrittore fantasma” di J.W. Sternquist (nome che viene erroneamente riportato anche con la “g”, Sternguist).

Chi è questo autore? Non esiste traccia alcuna di lui né del suo racconto, e si potrebbe benissimo dire che nessuno dei due esiste... se non ci fosse il cartaceo a provarlo! Al di là dell’antologia in questione - Giallissimo 1984, supplemento a Il Romanzo Giallo n. 36, luglio 1984, Editoriale Corno - non esistono prove che questo J.W. Sternquist esista. Paradossalmente, è un fantasma che scrive di un autore fantasma.

Sarebbe davvero facile pensare ad un inserimento italiano sotto pseudonimo in un’antologia che invece presenta - come specificato anche in copertina - una selezione di racconti tratti dalla statunitense Mike Shayne Mystery Magazine: malgrado non sia certo la prima volta che scrittori italiani si “infiltrino” in queste antologie, la copertina originale della citata rivista - n. 5, maggio 1983 - parla chiaro.

Copertina del numero di maggio 1983 del Mike Shayne Mystery Magazine, con in basso il particolare del titolo in questione
Copertina del numero di maggio 1983 del Mike Shayne Mystery Magazine, con in basso il particolare del titolo in questione
Malgrado non esistano tracce che sia mai esistito, J.W. Sternquist ha avuto addirittura l’onore della copertina!

                                

Torniamo al povero agente letterario Arthur Stein che si ritrova un romanzo giallo che vale oro ma senza finale. Disperato, il nostro tenta addirittura di inventarsi da solo un finale e di scriverlo fingendosi l’autrice - facendo cioè il ghost writer. Ma non è un gioco così facile, e rinuncia subito.

La situazione cambia radicalmente quando gli viene recapitato per posta un plico inviato dalla defunta scrittrice proprio il giorno prima di morire: un “messaggio dalla tomba” che porta Stein ad investigare sugli eventi che hanno portato Irene White alla morte.

L’agente letterario si trasforma in detective, e alla fine riesce addirittura a recuperare il finale del romanzo... trovandolo nella bara della White!

Le pagine con l’ambito finale - che rendono quindi il libro vendibile per cifre astronomiche - sono accompagnate da una lettera in cui la scrittrice prima di morire svela l’arcano all’agente letterario. Era malata da anni e prima dell’inevitabile morte si era sbrigata a scrivere diversi romanzi che si era tenuta nel cassetto: ora li lascia al buon Stein, agente che gli era rimasto sempre vicino, sicura che lui seguirà le tracce fino alla soluzione finale.

La commozione e la gioia dell’agente letterario sono nulla di fronte allo stupore nell’apprendere il tema dei libri inediti di Irene White: un agente letterario che si trasforma in detective.

                           

Il racconto “Ghost Writer” - indipendentemente da chi mai l’abbia scritto - gioca chiaramente sul doppio senso del titolo: più che un autore che scrive firmandosi qualcun altro, qui si parla di uno scrittore che scrive dalla tomba!

Lo stesso gioco ricorre nel romanzo del 2007 di Robert Harris, “Ghostwriter” (The Ghost) - che ha visto nel 2010 una fedele trasposizione cinematografica come L’uomo nell’ombra (The Ghost Writer, 2010) di Roman Polanski - in cui un ghost writer morto lascia un messaggio per il suo successore.

Dopo quest’ultimo romanzo, il termine è divenuto ancora più noto fra i lettori, mentre già da tempo faceva parte integrante del vocabolario di ogni realtà editoriale.

                        

Già sul finire degli anni Venti il New York Times usa il termine ghost writer con disinvoltura, anche se virgolettato. Sicuramente il politically correct che nel Novecento cresce d’importanza cerca di sostituire il termine usato da editori e scrittori sin dal XVIII secolo: “nègre”. (Negro, in Italia.)

Oggi un termine simile può sembrare razzista e risvegliare sentimenti forti, ma è stato un termine editoriale per secoli. Nel 1930 c’è bisogno di spiegare che al posto di “le nègre” va ora usato “ghost writer”, come troviamo nel “The Modern Language Journal” n. 14 di quell’anno, così come nel 1933 lo ribadisce il francese Pierre Daviault nel suo “Questions de langage”. Negli anni Cinquanta già il termine appare più conosciuto, tanto che nella rivista newyorkese “Crisis” dell’aprile 1951 (pag. 233) viene spiegato che «Nello slang francese, “ghost writer” si dice “le nègre”».

Pare che in Italia il termine sia arrivato nel 1967, ma di sicuro nella metà degli anni Ottanta - quando appare il racconto del fantomatico Sternquist - non è così noto al grande pubblico italiano che non sia attento allo “slang editoriale”. Curiosamente solo quattro anni prima Bompiani aveva fatto uscire “Lo scrittore fantasma” (The Ghost Writer, 1979) di Philip Roth.

Stesso titolo originale, stesso titolo italiano, stesso gioco tra reale e fantastico. Che sia stato Roth in seguito a nascondersi sotto il nome Sternquist? (Ne dubitiamo fortemente, ma sicuramente l’idea ha il suo fascino.)

                       

Malgrado sia un’idea antica quanto la stampa, parlare apertamente di autori che scrivono testi per altri autori (di solito immensamente più celebri) non è né piacevole né consigliabile. Lo sa bene l’uomo che puntò il dito contro il più celebre degli “scrittori fantasmi”, e che da solo scoperchiò un vaso di Pandora... pieno di nègres.

Ma questa storia la racconteremo nella prossima puntata.