Morto un ghost writer (in circostanze misteriose…), se ne fa un altro. Del lavoro del primo, cimentatosi con la stesura delle memorie di Adam Lang, ex premier britannico fresco di incriminazione per crimini di guerra (molti hanno pensato a Tony Blair…), il secondo dice: “Le parole ci sono, è che sono nell’ordine sbagliato…”.

Non rimane allora altro da fare che rimettere le parole al posto giusto.

Il problema è che ci sono un sacco di problemi: il tempo a disposizione è poco, quattro settimane che diventano subito due per sfruttare la pubblicità scaturita dall’incriminazione, un ex premier, Adam Lang (Pierce Brosnan) neghittoso come se non gli importasse nulla di finire in un libro dal quale forse avrebbe molto da perdere e nulla da guadagnare (anche perché Lang non sa che ci sono altri modi per passare alla storia, magari non piacevoli, anzi decisamente spiacevoli, ma vuoi mettere…), and last but not least condizioni di lavoro non proprio ideali, un’isola al largo di New York dove piove, fa freddo, e il mare è sempre in burrasca (e per fortuna che il collegamento ad Internet funziona…). Per di più c’è una puzza di bruciato che levati, ad iniziare da una foto giovanile dell’ex premier che rivenuta in modo casuale starebbe ad indicare un anomalo rapporto tra lo stesso premier e la CIA…

Ecco a grandi linee il plot de L'uomo nell'ombra di Roman Polanski (Orso d'Argento per la miglior regia al 60mo Festival di Berlino), appena uscito ma che già ci sentiamo di definire come il miglior thriller del 2010.

Se oggi ci si volesse mettere a tavolino per fissare alcuni punti cardine del genere thriller, be’ L’uomo nell’ombra sarebbe l’alfa e l’omega dell’intero processo.

Ecco alcuni dei motivi:

1)     Una tensione che ti afferra fin dall’inizio perché la morte del primo getta una luce sinistro sulla ripresa del lavoro da parte del nuovo ghost writer;

2)     un personaggio, quello del ghost writer di rincalzo, che Ewan McGregor dopo Colpo di fulmine – Il mago della truffa, interpreta alla perfezione calcando soprattutto sulla paura che il personaggio prova di fronte alla vicenda che monta, una paura palpabile ma che non giunge fino al punto di paralizzarne completamente il raggio d’azione;

3)     una contraddizione evidente tra un compito, la stesura delle memorie, che per precise disposizioni andrebbe portato avanti nella massima segretezza, e che invece finisce con lo svolgersi continuamente sotto l’occhio dei mass-media (il cortocircuito completo è raggiunto quando lo staff di Lang riunito nel salotto della villa finisce in diretta sulla TV grazie alle riprese da un elicottero…), trovata che aumenta il senso di disagio del ghost writer, figura che immaginiamo per natura portato alla solitudine e all’introversione e che invece è costretto a vivere sotto un costante controllo da parte di altri. Ciò determina una quota aggiuntiva di tensione all’interno del racconto attraverso i tentativi del ghost writer di smarcarsi dal controllo ossessivo che viene esercitato su di lui;

4)     tutta la vicenda è immersa in una zona grigia alimentata da cose non dette ma lasciate intuire (la crisi che attraversa la coppia costituita dall’ex premier e dalla moglie, la presenza ambigua della segretaria, i rapporti tutti da chiarire tra Lang e i poteri forti…) e che sfuma di continuo i contorni delle figure lasciando un ampio margine discrezionale impossibile da colmare a chi vorrebbe accingersi all’arduo compito di separare i colpevoli dagli innocenti;

5)     un colpo di scena degno finalmente di questo nome preceduto da una scena altrettanto degna del miglior Hitchcock (il biglietto con la soluzione del mistero che passa di mano in mano fino a giungere a chi di dovere …) e che Polanski gira addirittura relegando nel fuori campo l’evento cruciale preferendo evocarlo per via metonimica mostrando gli effetti (i fogli del manoscritto che svolazzando entrano in campo da destra) per la causa (sulla quale ovviamente sorvoliamo…).

Su tutto governa una regia che trova la quadra semplicemente rinunciando a qualsiasi svolazzo preferendo inquadrature molto semplici eppure capaci di trasmettere la più assoluta inquietudine, una regia degna non solo come già detto del migliore Hitchcock ma anche del migliore Fritz Lang (il nome dell’ex premier è una semplice coincidenza?) con la macchina nel vano auto del traghetto che nessuno metterà più in moto che richiama alla mente Il diabolico dottor Mabuse.

Basta così, andatelo a vedere.