Il giovane scrittore americano J.T. LeRoy ha raccolto in poche stagioni i plausi non solo di musicisti come Bono, Suzanne Vega (Quello che scrive J.T. Leroy è magico comico, nero, indimenticabile) Tom Waits, ma anche quelli di milioni di lettori in tutto il mondo e la sua predisposizione naturale al noir esistenziale lo ha reso un ospite perfetto per Tutti i colori del giallo lo scorso mese di aprile. J.T. LeRoy è stato battezzato dai media come "il migliore scrittore americano della sua generazione" e ha dimostrato nei suoi libri di saper rendere nelle sue storie la grazia angelica di un bambino di fronte al mondo. Una grazia angelica che ritroverete anche in quest'estratto dell'intervista da me realizzata assieme a Sebastiano Pezzani.

Che cosa rappresenta per te la scrittura? Vivere, sognare, dimenticare,

ricordare?

Scrivere è sopravvivenza. Siamo sempre alla ricerca - così come lo sono gli storici - di testi la cui scoperta ci dà grande eccitazione. Sapere che qualcuno abbia messo nero su bianco la propria storia. Voglio dire, ci sono state grandi civiltà, per esempio l'antica Roma, l'antico Egitto, che hanno registrato la propria storia ed è l'unico modo per sapere chi siamo e chi eravamo prima. Credo di aver captato fin dall'inizio l'importanza della scoperta di testi, documenti, per esempio scritti da schiavi, da persone che avevano subito cose terribili che poi avevano messo quelle esperienze sulla carta. Ho visto talmente tante persone soffrire, e non mi sto riferendo a nulla di simile alla schiavitù, bensì alla vita di tutti i giorni, allo stile di vita americano nel quale si dà tutto per scontato e nel quale c'è molta superficialità. Si dà per scontato che qualcuno debba morire o soffrire. E penso che, soprattutto al giorno d'oggi, con l'amministrazione

Bush, venga data per scontata l'esistenza di una classe di reietti che deve badare a se stessa. È un po' come tornare alla società descritta da Dickens. Era proprio quella la forza di Dickens.

Conosci bene l'opera di Dickens?

Certo. Sono cresciuto insieme ai libri di Dickens.

Alcune situazioni che hai descritto nei tuoi libri ci rimandano direttamente alle storie di Dickens ma anche a quelle di Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll. Ti riconosci in questo accostamento?

Sì, e aggiungerei Mark Twain. Non intendo certo accostarmi a questi grandi autori in termini di qualità letteraria ma certo ci sono delle somiglianze per quanto riguarda il modo di raccontare e lo spirito d'avventura e anche per il modo in cui si presenta un certo mondo ad altre persone che potrebbero voltare la schiena e non osservarlo con la giusta partecipazione.

Quando creo un personaggio, voglio che la gente non pensi che si tratta di una figura del tutto buona o del tutto cattiva. Sarebbe una menzogna perché una figura del genere non esiste in questo mondo. Non esiste la figura del bambino angelico che ha subito violenze, a meno che non si parli di un bambino in età davvero tenerissima. Se subisci delle violenze e se sopravvivi a queste violenze, impari a essere crudele.

Quando scrivi una storia, ti capita mai di pensare che se ne potrebbe

realizzare un film?

Penso sempre all'idea del film quando scrivo. In un certo senso, il cinematografo è il luogo in cui sono cresciuto. Molto spesso mia madre mi portava al cinema e mi diceva, OK, passo a prenderti stasera' e a volte

non si presentava neppure. Sapevo che non sarebbe venuta e spesso dormivo dentro al cinema e magari mi riguardavo più e più volte la stessa pellicola.

Dunque, quando scrivo un libro ho la perenne sensazione di scrivere un film.

Anzi, quando scrivo un libro dico che sto filmando un libro. In realtà non

scrivo un libro ma lo filmo, perché è lì davanti ai miei occhi.

Ti è mai venuto in mente di scrivere un giallo, un thriller?

In effetti, penso di sì. Ho appena finito di scrivere la sceneggiatura di un film. Mi è stato chiesto di rivedere una sceneggiatura pre-esistente e, siccome non mi piaceva per niente, l'ho cambiata radicalmente e in sostanza ne ho fatta una completamente ex-novo. È stato un lavoro shakespeariano. E badate bene che non intendo assolutamente paragonarmi al grande maestro inglese. Sto parlando piuttosto della trama e delle emozioni. Sono le reali emozioni umane a interessarmi. Le verità umane. Non esistono persone interamente buone o interamente cattive. La sceneggiatura che avevano a loro non piaceva perché era completamente falsa e credo che se ne siano accorti.