The Window (1968) è tra i film di Patrick Lung-kong quello con un messaggio più fortemente religioso (il regista è cattolico) ma allo stesso tempo è anche un’opera che riesce a toccare le corde universali del sentire umano, attraverso un registro che negli anni ’80 e ’90 diventerà uno degli ingredienti fondamentali dei capolavori del cinema hongkonghese: il mélo. La storia narrata da Lung-kong vede intrecciarsi le vicende del teppista Hsia Erh (Patrick Tse-Yin) e della bellissima ragazza cieca Lu-ming (Josephine Siao): il primo ha appena colpito un uomo anziano per strada rubandogli il portafogli, la seconda è l’ignara figlia della vittima, che si ritrova ad ospitare un criminale in casa senza saperlo. Hsia Erh e Lu-ming si incontrano per volere del caso dopo che il teppista, saltato in fretta dalla finestra dentro casa della ragazza per sfuggire alla polizia e scappato via con altrettanta rapidità, torna sui propri passi per recuperare una prova – la giacca con i documenti, fatalmente dimenticata la sera dell’intrusione a casa della sconosciuta. Ma questa volta l’arrivo di Hsia Erh non passa inosservato e l’uomo deve escogitare una scusa per non allarmare né Lu-ming né la sua vicina: fingendosi un lontano cugino della giovane cieca, il ricercato riesce così a recuperare gli oggetti dimenticati, sperando di lasciarsi quella fastidiosa menzogna alle spalle. Ma la disarmante innocenza della ragazza, a cui la notizia della morte del padre appena giunta ha distrutto il cuore, modifica suo malgrado i piani dell’uomo: preso dal rimorso, il criminale tornerà dalla ragazza, ormai affidata alle cure di alcune suore in una scuola per non vedenti. Gradualmente Hsia Erh finisce per innamorarsi di Lu-ming, ricambiato, anche se il peso dell’inganno e l’invidia che la purezza del loro sentimento suscita nei due complici di Hsia Erh gli saranno fatali. E Lu-ming, finalmente in grado di sentire le cose con gli occhi grazie all’eroico gesto finale del criminale, imparerà a riconoscere in ogni cosa un riflesso scuro chiamato ombra, dentro il quale forse potrà ritrovare la presenza di Hsia Erh.

La finestra dalla quale Patrick Lung-kong fa entrare il suo (anti)eroe è chiaramente simbolo  di un’apertura dell’anima verso il cammino della redenzione e del perdono. Tale apertura (ed è qui la vera bellezza del film e il suo rendersi esempio perfetto di mélo) arriva paradossalmente dagli occhi di una ragazza cieca, ossia da uno spazio apparentemente adimensionale dove la realtà va costantemente ricreata attraverso la suggestione e non tramite l’osservazione diretta. L’atto soffuso del vivere, tipico della ragazza per via della sua diversa percezione della realtà, porta l’uomo ad agire e a parlare per sottrazione, affidandosi allo scarto fra ciò che viene detto e ciò che resta sigillato nel silenzio per comunicare se stesso e il cambiamento/sentimento che si va creando nel profondo del suo essere. Ma lo scarto che rimane fra la parola e il sottinteso si fa a sua volta apertura nella vita di Lu Ming, rivelandole una verità che se da un lato la porta ad abbracciare l’unica altra forma di redenzione che riconosce a sé affine (prendere i voti, piuttosto che indossare il velo bianco da sposa) dall’altro va a creare nuovi pieni nello spazio interiore da lei abitato: cos’altro sono la traccia di sangue lasciata da Hsia Erh sul pipa che la ragazza suona in concerto o l’ombra che insegue i corpi immersi nella luce se non segnali di uno spazio che si è modificato, passando dall’innocenza all’esperienza? E tale passaggio il regista ce lo mostra in maniera inequivocabile quando, sulla voce off del postino che legge la lettera del “vero” cugino della ragazza, il volto di Lu Ming attraversa le varie fasi della conoscenza e si trasforma esso stesso in una finestra, un campo da cui sbocciano i fiori della verità. “Un film per me speciale”, così lo ho definito il regista prima della proiezione in sala al Visionario di Udine. Ma anche un’opera di cui sicuramente diversi registi della new wave devono sentirsi debitori per le sue atmosfere drammatiche ed eteree insieme, violente e al contempo poetiche.