Io c’ero... non vi sembri un vezzo da narratore (sì, un po’ lo è...) ma la presenza di Stefano Di Marino tra i partecipanti al ricevimento sul ristorante Jumbo la notte del 30 giugno 1997 in cui Hong Kong passò alla madrepatria non è (del tutto) una esagerazione.

Era un periodo in cui andavo spesso in Oriente; in pieno trip del cinema di Hong Kong ero andato diverse volte a incontrare personaggi del cinema locale. Ricordo di aver incontrato Chingamy Yau, di aver parlato con responsabili della Shaw che, all’epoca, non aveva neanche gli archivi di tutte le pellicole storiche. In breve Hong Kong, malgrado avesse appena superato l’epoca d’oro della sua notorietà cinematografica, ancora non ne era consapevole. Io, però, ero lì a coglierne l’atmosfera, a inventarmi delle storie che erano una strana commistione tra i classici degli anni ’70 (I tre dell’Operazione Drago, Il Drago di Hong Kong, L’uomo dalla pistola d’oro e tanti altri) e le magnifiche sparatorie di John Woo che avevano cambiato qualche anno prima il mio modo di concepire l’azione e quindi anche di scriverla.

      

Hong Kong di notte (foto dell'autore)
Hong Kong di notte (foto dell'autore)
Ancora si atterrava a Kai Tak in mezzo ai grattacieli e, benché ridotto, il taifung shelter di Aberdeen offriva sempre uno spettacolo ineguagliabile di giunche e sampan. Molto di Morire a Kowloon nasceva da quelle esperienze e da viaggi compiuto tra il 1995 e il 1996 tra Hong Kong e la Thailandia del Nord che pure nel romanzo ha una grossa parte. Nel 1997 andai per essere presente a quella storica notte. Il romanzo uscì in quei giorni, lo avevo scritto l’inverno precedente inserendovi anche le impressioni della mia più recente visita a Londra. Insomma se ci ripenso adesso fu una delle avventure più “sentite” del Professionista. E anche dopo tanti anni, rileggendola ci ritrovo quegli spunti che mi entusiasmarono allora.

Baia di Hong Kong (foto dell'autore)
Baia di Hong Kong (foto dell'autore)
Fang, per esempio era chiaramente Bruce Lee, più anziano, fuggito da i primi romanzi che avevo scritto da ragazzino (La tigre nel mirino fu pubblicata da Garden nel ’92, ma ce ne sono almeno una quindicina scritti a mano o a macchina inediti) in cui il mio eroe era un misto dei personaggi che più mi affascinavano: 007 e Bruce Lee. Mi piacque chiamarlo come mentore del Professionista, così per stabilire un ponte tra la mia formazione e la maturità. Poi Fang avrebbe a lungo accompagnato il Prof, salutandolo tragicamente in un’avventura di pochi anni fa (Morte senza volto).

    

Morire a Kowloon è anche la base per futuri cicli di avventure, segna la comparsa di Nastassja che, malgrado tutto, finiva per indagare sul mostro di Rostov anche dopo la caduta del Muro, ma a quell’epoca i legami tra gli Stati Indipendenti della federazione Russa erano più stretti e l’Ucraina non si era così distaccata dalla Russia (calcolando poi che i suoi crimini si estendevano sino a San Pietroburgo).

Poi c’era il Dipartimento operazioni speciali e Shaibat. Senza voler anticipare nulla a chi segue la serie solo da qualche numero Shaibat è un personaggio fondamentale. Alla fine anche Moon Lee che è ricalcata proprio su un personaggio reale, una diva del cinema di Hong Kong che ricordava in maniera strabiliante una mia ex fidanzata e che volli a tutti i costi nel cast.

Anita Mui ovviamente. Bellissima, brava, spregiudicata (i fattacci tra lei e le triadi raccontati nel libro sono più che reali...) Anita che da lì a pochi anni si sarebbe spenta in occasione di un’altra mia visita a Hong Kong. Uccisa a 40 anni da un tumore al cervello. Ricordo quando lessi la notizia il 30 gennaio 203. Kowloon si riempì di rotocalchi e giornali. La gente l’amava ancora moltissimo. La gente di Kowloon, quella stessa città che tutti temevano di dover fuggire allo scadere del contratto dei 99 anni ma che, ancora oggi è lì, con le sue tradizioni millenarie, la frenetica corsa al guadagno, le scuole di kung fu arrampicate sui grattacieli, gli alberghi e le saune di extralusso e i vicoli di Mongkog. Un universo sognato, un mondo reale e immaginario al tempo stesso in cui sono cresciuto. E Chance Renard con me.