«Se ’l vero annoia, e il falso sì mi piace, / non oda o vegga mai più vero in terra: / se ’l dormir mi dà gaudio, e il veggiar guai, / possa io dormir senza destarmi mai»: così agli inizi del Cinquecento scriveva Ludovico Ariosto (Orlando Furioso, canto XXXIII, 63), proprio in quegli stessi anni in cui François Rabelais dava il via al grande gioco degli pseudobiblia. I “libri falsi” piacciono, e sognare l’esistenza di testi immaginifici fa sperare davvero di non destarsi mai.

Ma gli scrittori sono pantagruelici, e a volte non basta inventarsi un libro: serve anche la fantasiosa e mirabolante storia di come quel libro lo si è trovato. Ecco la vera falsa storia di uno dei più stupefacenti ritrovamenti del XVIII secolo.

          

Nella Londra di fine Settecento un ricco signore, che per mantenere l’anonimato si faceva chiamare semplicemente M.H., conobbe in un caffè il figlio di un bibliofilo noto in tutta la città. Chiese al ragazzo se volesse guadagnare qualcosa e gli propose di ordinare le molte carte e documenti che teneva in disordine nella propria grande villa. Il giovane accettò volentieri e, sistemando gli incartamenti, fece scoprire al ricco signore alcune carte importanti che dimostravano il possesso di alcuni terreni da anni contesi. M.H. ovviamente andò in visibilio per la scoperta e volle ricompensare il ragazzo: poteva portarsi via qualsiasi documento avesse trovato di proprio gradimento, a mo’ di ricompensa per il servizio reso. Beffardo fu il destino, perché il giovane nella confusione andò a scoprire un’opera finora sconosciuta firmata da William Shakespeare. Il signore non poteva certo rimangiarsi la parola data, così agì da gentleman e fece al ragazzo un regalo di inestimabile valore.

Quando, dopo cena, il giovane mostrò al padre bibliofilo cosa aveva trovato in casa di M.H. - non ultimo una ciocca di capelli del Grande Bardo! - il genitore non ebbe il minimo dubbio ed abbracciò il figlio fortunato. Nella grande collezione shakespeariana del padre, quindi, ora campeggiavano pezzi davvero unici.

La città andò in visibilio per il ritrovamento - bevendosi tranquillamente la storia fin qui raccontata - applaudendo ogni volta che il ragazzo fortunato tirava fuori miracolosamente qualche carta firmata da Shakespeare, e tutti lo pressavano perché pubblicasse l’opera finora sconosciuta: Vortigern and Rowena. Finalmente il dramma vide la luce, venne studiato e i più colti periti si pronunciarono: era rozza, sì, ma un’opera shakespeariana senza alcuna ombra di dubbio. Semmai giovanile. Venne fissato per il 1° aprile 1796 il grande debutto a teatro - al Drury Lane Theatre, protagonista il famoso attore John Philip Kemble - ma proprio il giorno delle burle - mai data sarebbe stata più perfetta! - sembrava troppo sconveniente: si scelse quindi il 2 aprile. La rappresentazione fu funestata di incidenti sul set e comici inciampi, risolvendosi in un disastro completo.

William Henry Ireland
William Henry Ireland
Alla fine dell’anno il giovane decise che era andato troppo oltre e fece la terribile confessione: non esisteva alcun M.H. né opere finora sconosciute, era tutto frutto della sua invenzione. Per circa una anno il diciassettenne William Henry Ireland prese in giro tutti i più autorevoli critici e bibliofili londinesi, non solo proponendo falsi vistosamente contraffatti ma addirittura scrivendo di proprio pugno un enorme dramma shakespeariano in neanche due mesi. Tutto in versi!

          

Lo scotto subìto fece cadere sul giovane Ireland - e sull’innocente padre bibliofilo - tutta la rabbia dei londinesi, di sicuro risentiti per aver abboccato alla lenza con tutto l’amo: non credettero mai al fatto che William Henry poté fare tutto da solo, ed ogni altra opera scritta con la sua firma è stata accolta dall’indifferenza generale. Rimane però un fatto inequivocabile: quando si parla di Shakespeare non esiste né il vero né il falso, ed anche un giovane non dotato può diventare il Grande Bardo, anche se solo per pochi mesi.

«Per sostenere e prolungare un inganno è fatalmente necessario impiegare nuove astuzie - racconta William Henry stesso nelle sue Confessioni (1805), - in conseguenza, concepii la storia che segue e la sciorinai a chiunque chiedesse particolari in proposito».

Come mai i negozianti che vendevano rara carta bianca antica al giovane William poi non trovavano curioso che lo stesso, subito dopo, mostrava ai londinesi un’opera shakespeariana scritta su un supporto identico? Come mai Sam, il padre del giovane, non trovò curioso che Vortigern - il personaggio antico protagonista della tragedia in questione - era curiosamente il soggetto di un quadro che da tanti anni campeggiava in casa, e di cui aveva parlato approfonditamente con il figlio poco prima che uscisse fuori l’opera sconosciuta? Come hanno fatto i migliori esperti londinesi a giudicare il lavoro di un ragazzo inesperto per opera sicuramente shakespeariana? Perché tutti questi e tanti altri particolari non hanno fatto capire subito che la storia raccontata dal giovane Ireland era una bubbola?

Illustrazione di Jay Nixon per un giornale dell'epoca, che accusa l'intera famiglia Ireland di gestire una "fabbrica" di opere di Shakespeare
Illustrazione di Jay Nixon per un giornale dell'epoca, che accusa l'intera famiglia Ireland di gestire una "fabbrica" di opere di Shakespeare
La risposta è semplice e l’ha espressa bene l’Ariosto nella citazione con cui abbiamo aperto: la verità è noiosa e la falsità piace, quindi vogliamo tutti dormire per credere vere quelle meraviglie che vere non sono.

Il povero William Ireland diede ai londinesi sognatori del materiale per continuare a sognare, e lo condì con una storia falsa perché tutti - anche i più creduloni - hanno bisogno di una bella storia falsa per credere.

E se invece di un giovane entusiasta, a raccontare una vera falsa storia fosse un serio professionista, di specchiata reputazione e grande fama? Ma questa è un’altra storia...