La macchina continua a seguire il suo percorso, come un animale addestrato da anni di tragitto sempre uguale, come la cavallina storna lungo i viottoli di campagna. Anche senza un padrone che regge le redini. L’uomo guida senza meta. Imbocca un viale e un altro ancora, poi sterza all’improvviso in una traversa senza segnalare le sue intenzioni, si muove nel traffico più intenso così come subito dopo approfitta di spazi deserti per capire meglio se qualcuno gli sta con il fiato sul collo. Fin quando si ritrova dalle parti della stazione. Se la ricorda come una specie di casbah, trafficata da macchine e pedoni, fatta di viuzze attraversate dai binari dei tram, e dove si riesce ancora sentire qualche odore che non sia solo scarico di macchine. Case basse, insegne di negozi in mano agli stranieri, ristoranti etnici, lavanderie, grandi magazzini per il deposito merci dei grossisti che importano qualunque cosa da qualunque parte del mondo. Rallenta, e si rende conto della stanchezza che lo sta divorando per colpa di quelle ore di girovagare a vuoto.

Un albergo, pensa. Al momento l’unica soluzione che gli viene in mente. Giusto per riposarsi, raccogliere le poche idee confuse che gli tormentano la testa, e provare a capire cosa sta succedendo, così, di punto in bianco nella sua vita. Sa che lì attorno ci sono mille pensioni a basso costo, piccoli hotel, stanze affittate a ore, o anche solo a quarti d’ora, dove forse neppure si cambiano le lenzuola tra un cliente e un altro. Un colpo di riassetto e via, c’è posto per uno nuovo, per dare ricovero a mezzi balordi e a mezzi uomini, a nuove puttane e a vecchie baldracche, senza che nessuno dietro il banco della receptions si prenda la briga di chiedere i documenti, oppure di stupirsi se il cliente è senza bagagli. L’importante, pagare subito senza fare tante storie.

Ricorda di aver lasciato nel bagagliaio la sacca da ginnastica, dimenticata la sera prima quando non aveva fatto in tempo ad andare in palestra. Dentro conserva una tuta pulita, il cambio della biancheria intima, le scarpe da ginnastica, asciugamano e roba di toeletta. La prende e se la butta in spalla. Si incammina nervoso, guardandosi attorno e voltandosi a scatti. Il fresco della sera porta odore di solitudine.

Poi intravede in controluce l’insegna spenta di un hotel fissata sul muro di un’architettura semplice, incassata tra un magazzino di giocattoli, e un negozio di fiori. Sulla porta di vetro smerigliato la scritta in tondo Hotel California, e tre stelle a separare tra loro le parole impresse color argento. Filtra il riflesso di una luce interna soffusa, azzurrognola. L’uomo rimane in dubbio per un istante, poi si carica della solita energia e spinge la porta d’ingresso. Il campanello tintinna, mentre si dirige verso il banco della receptions accompagnato da un vago odore di candeggina. L’ambiente è piccolo e scarno. Sulla sinistra il vano di una scala porta al piano superiore. Alle pareti alcuni quadri, uno con il vetro rotto.

“Salve.” Dice con voce roca, come sopita dentro di lui per troppo tempo.

Il portiere ha i capelli dall’aria unta che si arricciano alla base del collo. Ha lo sguardo intontito. Forse il sonno, forse una paio di bicchieri di vino di troppo bevuti dalla bottiglia di Matheus ormai vuota appoggiata poco distante.

“E’ solo?” e si limita a consegnare le chiavi della stanza 104 e a incassare una banconota da cinquanta.

Ancora un tintinnio all’ingresso.

Una donna e un uomo. Visi in penombra.

…puttana e cliente! Pensa, e approfitta dell’arrivo dei due per imboccare le scale, e salire con il passo attutito dalla vecchia moquette.

Sale da solo, senza provare alcun sollievo particolare.

Sale ripiombando nel silenzio assoluto, nel silenzio che si porta dietro un luogo sconosciuto, con il quale non c’è confidenza, né famigliarità, nel silenzio della paura che lo morde dentro, e che solo il breve incontro con i portiere ha placato per qualche istante.

Al primo piano quattro porte. Due a destra, due a sinistra. In fondo una quinta con su scritto privato. Al centro del soffitto una plafoniera annerita dallo sporco e dai moscerini, e lo smalto alle pareti che richiede una bella ripassata di vernice fresca.