Nel 2007 aveva fatto parlare di sé con il suo romanzo 50/50 Killer. Ora è tornato nelle librerie d'Italia con Nessuno verrà (libri/9790/). Stiamo parlando di Steve Mosby, inglese, classe 1976, che con determinazione sempre maggiore si sta imponendo sul panorama internazionale e italiano con romanzi avvincenti e convincenti. E' con grande piacere, perciò, che ospitiamo sulle nostre pagine l'autore, che ringraziamo per la sua disponibilità e con cui vorremmo approfondire alcuni aspetti del nuovo romanzo e delle sua esperienza letteraria.

Come anticipato, il romanzo 50/50 Killer è stato il volume di successo, che ti ha fatto conoscere al grande pubblico. Ora prosegui la tua esperienza con questa nuova opera, che si preannuncia un'ulteriore conferma di critica e pubblico. Visto che coraggiosamente hai deciso di non proseguire con un sequel, puoi dirci se ci sono delle affinità tra le due opere?

Grazie mille: voglio proprio sperare che alle persone possa davvero piacere così tanto. In realtà non c'è mai stata la possibilità concreta che questo libro potesse essere un sequel, in quanto ho sempre scritto dei thriller autoconclusivi. Il mio modo di procedere è questo: parto da un'idea particolare, o anche da un tema di fondo, su cui in seguito modello l'ambientazione e i personaggi. Pertanto, purtroppo, i personaggi di un libro non potrebbero "funzionare" molto bene anche in quello successivo. C'è poi da dire che alcuni dei personaggi, alla fine del libro, si ritrovano così malridotti (se non peggio) che per il quarto o quinto libro di una serie mi ritroverei senza più nessun personaggio! Confermo: ci sono delle somiglianze fra i due libri. Seguono entrambi uno stile molto simile (un misto di narrazione in prima e terza persona), sono due cupi thriller psicologici e, ciascuno a proprio modo, ha a che vedere con la tematica della responsabilità verso le persone a cui vogliamo bene. 50/50 Killer parla in modo specifico dell'amore (soprattutto della morte e del dolore), mentre Nessuno verrà ha più a che fare con l'amicizia e i legami relazionali.

A quale sei più legato?

Che domanda difficile! So che suonerà come una scappatoia... ma mi sento vicino a entrambi. A loro modo sono tutti e due libri personali, anche se avrò sempre un affetto particolare per 50/50 Killer, visto che mi ha concesso di entrare nel panorama letterario internazionale. E l'esser diventato uno scrittore a tempo pieno è stato un sogno divenuto realtà.

Dopo aver ottenuto grandi risultati con 50/50 Killer, non avevi in un certo senso paura di deludere le aspettative dei lettori, in una sorta di "ansia da prestazione"?

Sì. Sono sempre preoccupato per il modo in cui il prossimo libro verrà accolto. Ma alcuni fattori mi hanno aiutato. Primo fra tutti è stato il fatto che 50/50 Killer non ha mai avuto un gran successo in Gran Bretagna, e la maggior parte di Nessuno verrà è stata, a tutti gli effetti, scritta prima che il precedente fosse venduto anche all'estero. Stavo semplicemente scrivendo il mio libro successivo, perciò il successo non è stato un problema mentre lo stavo completando! Ma quel che più conta è questo: non puoi soddisfare tutti. Persino alcuni libri dei miei autori preferiti, secondo me, non funzionano. Cerco solo di fare del mio meglio con ogni libro, imparando dai miei errori e cercando di scrivere qualcosa di simile ma al contempo differente ogni volta. Voglio che alle persone piacciano i miei libri, ma non mi lascio certo angosciare: se non è piaciuto questo, magari si appassioneranno al prossimo. Devi solo scrivere il libro che interessa a te … E sperare!

Anche Nessuno verrà è stato definito un thriller mozzafiato, personalmente, leggendolo, però, io ho trovato poca "azione" e molta riflessione. Il tutto è giocato, infatti, su meccanismi che scattano all'interno dell'animo umano, sulle azioni che scaturiscono dal senso di colpa e da un disagio interiore, avvicinando il romanzo al genere noir. Certo c'è anche la parte legata alle indagini della polizia, ma sembra in un certo senso passare in un secondo piano.

Il che è probabilmente vero. Di fatto non sono certo quel tipo di scrittore di thriller che pensa "Oddio … devo avere una scena d'azione ogni 20 pagine!" Come ho già detto innanzitutto costruisco l'idea centrale di quel che voglio scrivere, poi creo i personaggi e solo dopo comincio a stendere la trama. L'azione nasce quasi spontaneamente dalla trama stessa e, fintanto che questa riesce a indirizzarsi verso un climax, posso ritenermi più che soddisfatto. L'importante è che abbia al proprio interno un che di verità psicologica- un po' di peso insomma- perché le scene d'azione non significano assolutamente nulla se il lettore non le ritiene credibili. E comunque sì. La colpevolezza è certamente un tema portante, appena sotto la superficie. Ed è anche un elemento fondamentale per la mia narrativa: personaggi che si sentono colpevoli per il loro passato, personaggi che fingono di non esserlo. (Ovviamente il tutto non viene presentato così artificiosamente.) Di fatto le persone vengono quasi modellate dal loro passato, provano dei sentimenti tanto per quel che hanno fatto così come per quello che hanno dovuto subire. Un terreno estremamente fertile, che finisce con l’influenzare le loro azioni nel presente.

A questo proposito c'è una sorta di fil rouge che accomuna i vari protagonisti: Dave Lewis e Sam Currie, in particolare, pur essendo molto diversi e rivestendo ruoli opposti nel romanzo, convivono con il senso di colpa dovuto agli "irrisolti" del proprio passato. Cosa hanno in comune i due personaggi e cosa, invece, li differenzia?

Vero. Ci sono sicuramente delle somiglianze fra loro, su questo piano. La vita di Dave è stata offuscata dalla morte del fratello, quando era molto giovane, mentre Currie è perseguitato dalla morte del figlio, tossicodipendente, due anni prima dell'inizio della narrazione. Entrambi si domandano se non avrebbero potuto fare di più, e tutti e due fanno ciò che la maggior parte delle persone fa: cercare delle giustificazioni per il comportamento assunto all'epoca dei fatti, per poter continuare a vivere. Penso che la maggior parte delle persone, quando hanno qualche rimpianto, cercano sempre di non pensarci. Così Currie, per esempio, nasconde il suo senso di colpa riversandolo tutto su un altro personaggio: Choc, lo spacciatore, che egli ritiene direttamente responsabile dell'overdose del figlio. Il background di Dave invece è più complesso. In un certo senso la sua vita intera è stata basata sull'evitare di doversi assumere le proprie responsabilità. Ma oltre a quanto appena detto sono due personaggi molto differenti. Hanno questioni in sospeso nel loro passato (molti di noi ne hanno!) e il modo in cui le gestiscono risulta molto differente. Per quanto siano entrambi due personaggi "buoni", scoprono anche di essere sempre più agli antipodi man mano che la storia procede.

Proprio il senso di colpa è infatti la chiave su cui gioca il serial killer per manovrare le sue vittime. Oltre, infatti, alle giovani donne che lascia morire di inedia legate a un letto, egli si accanisce su Lewis che, diventa, in un certo senso la vera vittima, costringendolo a eseguire quello che gli chiede e giocando con il suo senso di colpa. E' corretto?

Sì, molto. Dapprima l'assassino sembra voler provocare gli amici e le famiglie delle sue vittime. Loro non arrivano in tempo, non si preoccupano di controllare del tutto il loro conoscente. E così il killer trae piacere dal loro fallimento. Poi però, una volta che Dave rimane coinvolto, vediamo cosa succede quando qualcuno riesce a verificare in tempo, e realizziamo che è solo l'inizio. Dave e la polizia cominciano a capire che l'assassino è in qualche modo collegato alle vittime. C'è della logica in quel che sta facendo, ma ci viene rivelata solo gradualmente. Ma comunque sì: si gioca molto sulla concezione di colpa, e sul modo in cui la gestiamo.

Le ragazze catturate dal serial killer muoiono perché nessuno le cerca, perché nessuno arriva in tempo per salvarle. Bastano infatti alcuni messaggi e alcune mail false inviate dall'assassino a parenti e amici per fuorviare dalla verità. Secondo te è l'indifferenza e la concentrazione esasperata su noi stessi il vero "male" del nostro tempo?

Fino a un certo punto sì, ma è anche fin troppo facile caderci. E, personalmente, ci casco tutte le volte. Non è che ti dimentichi delle persone … è che semplicemente le metti un attimo da parte. Ti ritrovi a dare priorità a te stesso e a ciò che ti interessa piuttosto che fare lo sforzo di assicurarti che qualcuno stia bene e che sia tutto a posto. Non è proprio indifferenza. E' che è molto facile lasciarsi distrarre. Sicuramente l'assassino gioca molto su questo fatto, l'idea che le sue vittime pensino di avere degli amici, ma gli risulta comunque molto facile attuare un piano che richiede molto tempo come il lasciarle morire di fame, nelle loro stesse case, senza che nessuno se ne accorga.

Quanta di questa responsabilità è da attribuire a internet e a una comunicazione sempre più globale e frenetica, ma forse sempre meno personale?

Copyright è di Roger McNally
Copyright è di Roger McNally
Non ho nulla contro le e-mail, gli sms o i social network (anche perché li uso sempre anch'io!). Ma penso che molto probabilmente sia vero che i nostri mondi sociali, per quanto risultino più estesi di prima, ci portino ad essere sempre più isolati. Sono le stesse informazioni e gli stessi messaggi a venire da noi, non abbiamo più bisogno di andarli a cercare e di fare il benché minimo sforzo. Possiamo continuare a rimanere in contatto con una persona anche senza vederci di persona come facevamo un tempo. E' la classica lama a doppio taglio. Ma non è colpa della tecnologia in sé, bensì dell'uso che ne fanno le persone, che può essere giusto o sbagliato.

Come è cambiata la tua vita da quando i tuoi romanzi hanno cominciato a riscuotere tanto successo anche fuori dal tuo paese?

Per un certo verso è cambiata completamente. Come è già stato detto ora posso scrivere a tempo pieno. Oltretutto il successo è arrivato giusto in tempo: ero appena stato licenziato dal mio vecchio lavoro e stavo giusto pensando "E ora cosa diavolo faccio?". Il caso ha voluto che proprio quello stesso mese 50/50 cominciasse a vendere anche all'estero. Da allora non mi sono più voltato indietro! E' semplicemente fantastico l'aver sempre voluto fare lo scrittore ed ora poterlo fare di mestiere. Insomma, da questo punto di vista, il successo ha avuto un effetto considerevole sulla mia vita. Dall'altro c'è da dire che sono ancora relativamente sconosciuto nel Regno Unito: i miei libri qui non sono certo dei bestseller. Solo in occasioni eccezionali mi è capitato di viaggiare all'estero per presentazioni, firmare autografi o per essere intervistato, perciò, il più delle volte, la mia vita da scrittore è molto simile a quella che facevo anche prima. Ma ritengo che vada bene così. Me ne sto qui, in un bel guscio in cui posso tranquillamente abbassare la testa per concentrarmi sulla stesura del mio prossimo libro, senza ricevere troppe pressioni esterne.

Come sappiamo i tuoi romanzi sono senza dubbio best seller. Di questi tempi è frequente la trasposizione cinematografica di opere letterarie di successo. Cosa pensi del rapporto tra cinema e letteratura? Ti piacerebbe l'idea che un tuo romanzo diventasse una sceneggiatura? E i diritti di qualche romanzo sono stati opzionati?

Penso che siano indiscutibilmente due medium differenti, e ciò che funziona come libro non necessariamente può funzionare altrettanto bene sul grande schermo. E' una generalizzazione, lo so, ma con un fondo di verità: più semplice è il libro, maggiori saranno le sue possibilità di successo e non solo perché trasformare un libro in una sceneggiatura significa tagliare un sacco di materiale. Certe scene devono essere tagliate e così il filo della trama si perde. E il fulcro della storia deve per forza essere estrapolato e quindi tradotto in qualcosa che stimoli i sensi direttamente sullo schermo, più che nella nostra immaginazione. Se togliamo il fatto che sono entrambe narrazioni ottenute attraverso le parole ritengo che i romanzi e i film sono molto differenti. D'altra parte ci sono anche stati alcuni adattamenti a dir poco fenomenali, e mi piacerebbe molto vedere uno dei miei romanzi approdare sul grande schermo. 50/50 Killer e Nessuno verrà sono stati entrambi venduti a compagnie di produzione, ma i tempi non sono ancora maturi per nessuno dei due. Vedremo! A questo punto faccio un passo indietro, poiché scrivere sceneggiature è unarte differente, e non sarei proprio d'aiuto in materia. Posso solo essere curioso di vedere cosa un altro artista potrebbe mai trarre dai miei scritti. Lo vedo molto simile al remix di una canzone: tu dai a una persona il tuo materiale e lasci che questi ne faccia ciò che vuole. In fin dei conti i miei libri sono lì, sulla mensola, pronti per essere letti, perciò non mi preoccupo certo di lasciare le persone libere di sperimentare e di fare qualcosa a loro volta.

Ci sono autori a cui ti ispiri nella stesura dei tuoi romanzi? Quali sono i tuoi autori preferiti?

L'impossibile sarebbe non farlo! Sono cresciuto leggendo autori horror come Stephen King, Dean Koontz, James Herbert... e amo tuttora il genere, oltre a tutto il resto. Ora come ora i miei scrittori preferiti sono Mo Hayder, Michael Marshall, Graham Joyce, Jack Ketchum, Christopher Priest, Tim Willocks, Thomas H Cook, China Mieville… ma la lista potrebbe estendersi e cambiare facilmente giorno dopo giorno.

E ora una domanda un po' interessata: ama l'Italia? Cosa le piace del nostro paese e come è stata l'esperienza di pubblicazione in Italia?

Adoro l'Italia. Ci sono venuto in luna di miele alcuni anni fa: ho visto Venezia, Firenze e Roma. Ancora prima, quando ero ragazzo, l'ho girata per un po', zaino in spalla. Tanto che in 50/50 Killer c’è un episodio in cui una persona annega in mare basato sulla mia esperienza personale vissuta in quel periodo (anche se poi la mia fidanzata dell'epoca, in realtà, si salvò). L'Italia è un Paese meraviglioso, di cui amo alcune zone in modo particolare. La mia esperienza di pubblicare in questo Paese è stata molto gratificante. Tutte le persone con cui ho collaborato sono state eccezionali, e sono molto soddisfatto di come sia stato adattato il libro. Ed è altrettanto bello sentire la risposta data dagli stessi lettori (innegabile vantaggio di email, Facebook, Twitter e amenità simili…).

Conosci e leggi qualche autore italiano? Se sì quali?

E' alquanto doloroso ammetterlo ma non ne conosco molti. Il mio primo libro in Inghilterra ha fatto parte di una promozione di nove scrittori, uno fra i quali c'era anche Massimo Carlotto. L'ho incontrato (molto brevemente) quando siamo andati a pranzare insieme. Subito dopo lessi Il corriere colombiano e, ovviamente, lo amai. A parte questo, ho davvero bisogno di leggere qualcosa in più.

Per concludere una domanda di rito: quali sono i progetti per il futuro? Dobbiamo aspettarci il sequel di Nessuno verrà?

Purtroppo per voi, niente sequel. Il mio quinto libro, Still Bleeding, è stato appena pubblicato in edizione economica in Inghilterra, e come stile è molto simile a 50/50 Killer e Nessuno verrà, ma anche questa volta, leggermente differente. Si tratta di un thriller psicologico molto dark, in parte sul senso di colpa, in parte sui siti Internet dedicati alle riprese di morti, incidenti e omicidi reali. Ho appena mandato il mio sesto libro alla casa editrice. Pertanto, vediamo un po' come andranno le cose, da qui in avanti. Ma il mio piano, principalmente, è quello di continuare a scrivere finché le persone avranno ancora voglia di leggermi!