Operazione Birmania uscì nel luglio 1962 con il numero 10 di Segretissimo. Fa parte del secondo anno di vita della rivista e già reca la firma autorevole di Jacono in copertina. È il primo romanzo con protagonista Sam Durell pubblicato in Italia. Per questioni anagrafiche non fu il primo che lessi ma ho voluto riprenderlo per diverse ragioni che solo parzialmente hanno a che fare con i 50 anni di Segretissimo. Sam Durell è stato forse uno degli ‘eroi’ preferiti di Stefano Di Marino quando ancora non sapeva che sarebbe diventato Stephen Gunn. Qualcosina, insieme a mille altre suggestioni, però è rimasto di quel ruvido personaggio dai capelli brizzolati, capace di uccidere armato o a mani nude come gli ha insegnato bayou Peche –Rouge in Louisiana dove è stato allevato dal nonno giocatore sui battelli a ruota. In effetti forse più di 007 e di SAS nella memoria mi era rimasto. Credo l’aspetto avventuroso perché, a differenza di molti dei suoi colleghi europei o americani, Sam Durell era protagonista di storie esotiche dove i temi dell’avventura classica si fondevano con quelli della spy –story prendendo a volte il sopravvento. Durell è un agente della Sezione K, organismo segreto e indipendente che risponde solo al presidente, svincolato dalla CIA e da altri organismi della sicurezza nazionale. In pratica al di fuori del generale Dickson Mcfee e di Deidre che incidentalmente è la sua fidanzata, la struttura della Sezione K sembra estremamente scarna. Eppure spuntano nelle vicende amici, agenti a contratto, vecchi compagni di missione che creano un universo a volte dolente a volte così variegato da costituire il fulcro dell’intreccio. Aarons ( che firmò anche degli ottimi gialli con il nome Edward Ronns) non perde tempo. Nelle prime righe chiarisce la situazione di partenza. Hathford un ex agente americano ora sposato con una ricca ereditiera durante un viaggio in Birmania si fa convincere a intraprendere un pellegrinaggio sulle montagne in mano ai guerriglieri. Apparentemente spinto dal desiderio di rivedere i luoghi dove ha combattuto nella Seconda guerra mondiale, forse è interessato a cercare la tomba del fratello della moglie rimasto in circostanze misteriose prigioniero dei guerriglieri. Ma forse c’è un’altra spiegazione. Un ambiguo addetto dell’ambasciata USA lo ha indotto a servirsi del suo pellegrinaggio per scoprire qualcosa sul famigerato comandante Mong, capo dei guerriglieri ‘laphet hao’ che minacciano di aprire una sorta di pista di Ho chi min tra Vietnam e Birmania. Curioso come Arons storpi nomi e riferimenti storici. L’allusione ai Pathet lao e alle guerre segrete che in questo periodo( siamo ancora prima dell’intervento americano in Vietnam) preparano uno dei più sanguinosi conflitti degli anni ‘60/70 si accompagnano ad allusioni ai guerriglieri indigeni Cindit (qui chiamati Marauders) impiegati contro i giapponesi nel ‘40. Ancora più sorprendente è la coincidenza che Hatford sparisca nella giungla in circostanze simili a quelle del commerciante di seta (in realtà una spia) Jim Thompson, episodio avvenuto, però, nel 1967. Insomma Aarons ha ben chiare le sue fonti di informazione, consoce la regione e la sua geopolitica e forse riesce persino a prede vedere qualche avvenimento come, prima o poi, è capitato a tutti coloro che scrivono con competenza le spy-stories. Ma Durell, rapidamente presentato informato e spedito in missione, è un uomo d’altri tempi. Un Adventurer che solo il caso ha messo in gioco nella guerra delle spie. Ha il suo codice e una sua durezza che lo accomunano più a un westerner che a una spia. Detesta i burocrati e i traditori ma coltiva una serie di strane amicizie con personaggi perdenti, vinti dalla vita e dall’Oriente ma che non si sente di lasciare abbandonati a se stessi. È un romantico con un indubbio fascino sulle donne, dote di cui non abusa proprio perché esce dal cliché dell’agente sciupa femmine. E se l’intreccio alla fine si rivela più simile a una storia di avventura con sfumature spionistiche sono nelle descrizioni dei luoghi esotici intorno a Rangoon, tra le montagne dominate dai guerriglieri, ammantate da un fascino mistico che la penna di Aarons diventa più efficace. Il ritmo rallenta, sentiamo la foresta respirare intorno al protagonista, scandire i tempi di una tragedia dove si muore, si tradisce, si ama. E Durell riesce ad arrivare vivo sino al traguardo perché ha quel pizzico di follia e crudeltà in più dei suoi comprimari che, quasi per una rivalsa voluta dall’autore, finiscono per diventare più importanti. In questo caso la narrazione procede spedita dal principio alla fine ma nella maggior parte dei casi Aarons adottò un artifizio narrativo che credo proprio di aver assorbito dai suoi romanzi. La vicenda cominciava spesso a metà di un’azione, trascinando il lettre per qualche capitolo (ricordo un titolo, forse uno dei primissimi di Durell che lessi Missione a Karachi’)per poi ritornare al principio, spiegare la missione, abbozzare i caratteri dei personaggi destinati poi a parlare con le azioni. Com’è regola di ogni buon romanzo. Di spionaggio o meno.