Sono sette i ragazzini di Sette piccoli sospetti (Fazi), nuovo romanzo di Christian Frascella, giovane autore torinese che ha già fatto parlare di sè con Mia sorella è una foca monaca (Fazi) e coi numerosi riconoscimenti ottenuti (premio John Fante, Viareggio e Zocca). Siamo in centro Italia, il paese è Roccella, la storia è ambientata nell’estate 1985. Sette giovani amici –Billo, Gorilla, Corda, Cecconi, Fostelli, Ranacci, Lonìca- vogliono rapinare la banca del paese e quando pianificano lo fanno con tutta la carica dei loro dodici anni. Hanno previsto pochi dettagli, il più urgente è stabilire chi sedurrà la Chiattona, la figlia del barista, pedina indispensabile per la riuscita del loro piano. Ma la Chiattona non è proprio la ragazza dei sogni: capelli unti e scarmigliati, pare un troll di ottanta chili. Nessuno vorrebbe il ruolo del conquistatore e i sette lo metteranno in palio con una memorabile maratona all’inverso: chi arriverà ultimo dovrà corteggiare la Chiattona. A queste vicissitudini quasi adolescenziali si alternano le eterne vicende esistenziali –sopravvivenze, lotte sindacali, violenze quotidiane– e i miti di contrada, primo tra tutti quello del pittoresco Messicano, un tempo re degli affari sporchi del paese, ora appena tornato dopo una lunga latitanza e deciso a riappropriarsi dello scettro.

L’autore dimostra di sapersi giostrare abilmente nelle sovrapposizioni individuale/corale, lasciando lo spazio vitale a ciascun personaggio affinché si esprima attraverso il dialogo e il vissuto, e proiettandolo nella dimensione polivalente della società: famiglia, scuola, gruppo dei pari. La storia scorre fluida, divertente, forte, il linguaggio è pulito e aderente alla narrazione o al punto di vista dei ragazzi, i dialoghi ricordano le atmosfere da band e iniziazione di Stephen King in “Stand by me” pur mantenendo la loro originalità, e le descrizioni emergono con brevi pennellate molto efficaci, come quando, in poche righe, si riporta al lettore la serenità beota della sopracitata Chiattona: «Il risultato era che la Chiattona lo sapeva di essere la Chiattona. Eppure, per qualche oscura ragione, pareva non corrucciarsene più di tanto, e viveva quella sua condizione con lo sguardo felice e il piglio sereno di una mucca al pascolo.»

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