Ci eravamo già occupati de La notte che ho lasciato Alex  nel 2005, con una recensione di Marina Belli. Torniamo a parlarne cinque anni dopo, in occasione della ristampa nei tascabili "Sottozero" di Meridiano Zero.

Per citare lo stesso Hugues Pagan - che spende queste parole nella descrizione dello stato psico-fisico di un personaggio - questo è un romanzo di "una tristezza quasi spaventosa". Alla fine si ha tentazione di strapparne le pagine, una per una, di far sparire quei fogli che fino alla conclusione sembrano zolle di terra umide gettate su una tomba.

Mentre la carne è ancora viva, ogni sentimento si decompone, tende alla polvere.

La trama è sincopata, quasi non esiste, sopraffatta dalla tavolozza di colori e registri con cui l'autore dipinge l'inquietudine dei personaggi. La spirale discendente di Chess, il poliziotto protagonista, è un disco blues che sfuma, lento, nel silenzio; un canto malinconico iniziato con Dead End Blues e Quelli che restano e che si conclude abbracciando Alex, la femme fatale incrociata sull'autostrada che corre veloce verso l'inferno.

E come un blues, questo polar vive di canoni, di partiture e strutture armoniche consolidate, esasperate fino all'inverosimile. Dannazione, sigarette, omicidi, violenza, intrigo, carne e amori negati. Non manca niente. Se l'orecchio (l'occhio) del lettore è fino, non faticherà a riconoscere le note di solisti e virtuosi del nero come Goodis, Hammett - Chess, in qualche occasione, si trova al cospetto del fantasma di Sam Spade - e Jim Thompson. Il baltringue che è in me, ovvero il crocevia esatto tra tradizione francese e hard boiled americano, tanto che Chess non sfigurerebbe neanche seduto allo stesso tavolino con Martin Terrier e  Fabio Montale: con il primo condividerebbe un'anestesia sentimentale costruita con fatica e con il secondo la poesia struggente della vita. Mentre le creature di Manchette e Izzo probabilmente scambierebbero due parole o qualche pugno, lui li osserverebbe in silenzio, trangugiando anfetamine, nel tentativo costante di bruciare ogni fotografia del proprio album di ricordi.

A blues for a dead sun.