Come ha proceduto, metodologicamente parlando, nell’ideazione e della stesura del suo saggio? Quali le fonti principali?

Come racconto nella postfazione, il tutto è maturato negli anni, cercando di dar forma alla mia esperienza di lettore e spettatore. Cruciale è stato lo scoprire e poi l’approfondire gli studi francesi sull’argomento, che mi hanno corroborato nella mia passione e mi hanno fatto conoscere un mondo di autori affascinante e poco conosciuto, nonché una prospettiva originale sull’argomento. In breve, una vita di libri e film, e mezza vita di saggi francesi.

Qual è il lasso cronologico interessato?

Mi sarebbe piaciuto poter parlare del noir attuale, anche al di fuori dei confini statunitensi, che è poi quello che continua a appassionarmi. Ma, man mano che approfondivo l’argomento, mi sono reso conto di doverlo delimitare, se non altro per poter arrivare a una conclusione. Ho scelto il periodo dagli anni 20 ai 60 per due motivi: è quello in cui il genere acquista una forma e una spina dorsale, in stretto rapporto con le pubblicazioni popolari da cui aveva preso avvio, pulps e paperbacks; è anche quello più rimosso per il lettore attuale. Chi conosce, oggi, Charles Williams, Fredric Brown o Harry Whittington? Ecco, c’era in me il desiderio di sottrarre all’oblio una quantità di autori che non lo meritano.

Perché nel suo saggio non ha dato una definizione circoscritta di noir?

Perché non darebbe ragione dell’ampiezza e della complessità del fenomeno. Com’è oggi evidente, l’appellativo di noir è applicato ai più svariati prodotti e ai più diversi mezzi espressivi (fino a correre il rischi di una saturazione e una perdita di significato). Come orientarsi, come cercare dei punti di riferimento? Ecco, è da queste domande che sono partito per cercare il mio tentativo di risposta, prima sul piano storico, naturalmente, poi anche sul piano diciamo così strutturale.

Ha scritto che il noir, per sua costituzione, non è un genere nel senso classico del genere, è qualcosa di diverso, forse qualcosa di più e in ciò consiste la sua forza e la sua vitalità. Se le chiedessero qual è la differenza sostanziale tra giallo e noir?

É proprio ciò che cerco di definire nei primi capitoli. In Italia il termine “giallo” è stato, fino a non molti anni fa, molto più diffuso e inclusivo. Solo di recente quello di “noir” lo sta soppiantando. Se si va a vedere lo sviluppo storico di questa letteratura si scopre che in America, a partire da Hammett, il giallo tradizionale basato su una struttura rigida di mistero e delucidazione razionale, alla A. Christie per intenderci, è stato rivoluzionato, dando origine a una letteratura svincolata da quella struttura chiusa, più attenta ad un discorso sulla realtà sociale e anche più in contatto con le radici romantiche della crime fiction, quindi all’irrazionale, all’angoscia, all’ambiguità, letteratura che ha permesso uno sviluppo e un’estensione della matrice originaria, qual è quella che attualmente conosciamo (e in cui i confini stessi del genere si sono fatti assai labili). Il noir quindi è per me inizialmente uno sviluppo del giallo classico, poi un contenitore nuovo, più moderno nello stile e nei contenuti e dai confini più ampi e permeabili.

Secondo lei per quale motivo il noir è un genere così di tendenza?

In Italia soprattutto, ahimé, per un fatto di moda. Da noi il fenomeno è stato abbastanza improvviso, e tutto sommato di riporto rispetto a quanto accaduto in Francia e in America. Anche il grande Scerbanenco, che fu il primo ad avventurarsi in questa direzione, rimase per anni senza seguaci. Attualmente la situazione si è rovesciata a tal punto che “noir” è diventato quasi un logo pubblicitario, buono per i gli usi e senza sottilizzare. A parte figure benemerite come Luca Conti o Daniele Brolli, che tanto hanno fatto per diffondere da noi certi autori, mi sembra che sia mancata una elaborazione culturale di questo fenomeno.

Come si inserisce nelle polemiche sui generi che imperversano oggi? Ritiene che la differenziazione tra generi sia di qualche utilità? 

Questione annosa! Personalmente non ho nulla contro la nozione di genere, anzi (altrimenti non avrei scritto il libro!). Si pensi, per fare un esempio in campi limitrofi, all’importanza che tale nozione ha avuto nello studio del cinema americano classico e per valorizzarne la ricchezza. Naturalmente il concetto non va usato come una prigione formale (problema che ha avuto il giallo classico) né come un salvacondotto per cui qualsiasi noir è di per sé audace e di denuncia. Il problema è piuttosto quello di stabilire metodo e criteri per delimitare un genere, faccenda assai complessa; personalmente mi pare che lo studio storico dei testi sia sempre una strada utile.

Ne “Le radici del noir”  sono presenti, in brevi monografie,  anche percorsi biografici e successi letterari di 13 fra i più significativi scrittori del settore. Ce ne può citare alcuni?

Beh, c’è l’imbarazzo della scelta. Opto per quelli più misconosciuti. Jim Thompson – di cui Fanucci aveva iniziato la pubblicazione integrale, purtroppo interrotta – che è veramente, come dicono i francesi, un piccolo Céline del poliziesco, uno scrittore terribile, sconvolgente ma sempre umano. Charles Williams, secondo me un vero stilista, capace di sottigliezze e sfumature impensabili in questa letteratura di grana grossa. Poi Horace Mc Coy, l’ala sinistra dell’hard boiler, un autore della prima generazione che forse più di altri ha spinto il pedale della denuncia sociale e del pessimismo. Poi lo sterminato esercito dei “minori”: H. Whittington. L. White, F. Brown, eccetera eccetera eccetera….. 

Ci può ora citare tre autori, tra quelli presenti nel saggio, e spiegare brevemente la portata del loro lascito alla letteratura noir?

Solo tre?! Hammett, senz’altro. L’inizio di tutto. Un autore senza la cui grandezza forse le cose sarebbero andate in altro modo. Il suo lascito? In due parole: stile e visione del mondo. Charles Willeford, uno di quegli autori sotterranei di cui il noir americano è così ricco, per l’impronta esistenziale celata nelle sue storie beffarde, nonché per lo sprezzo delle consuedini di genere. Infine Ellroy, oggi forse appannato ma personaggio chiave nel panorama moderno. Una potenza di scriura pari alle ambizioni letterarie. Comunque ha portato il genere molto al di là dei suoi confini.

Possiamo aspettarci un nuovo saggio sul noir in Italia?

A dire il vero mi sembra difficile, dato che è una materia che conosco poco e in modo frammentario, nonostante il valore di molti autori contemporanei. Forse, chissà, se qualche editore fosse interessato, sarei portato verso il polar, il poliziesco francese, alro argomento su cui da noi si è scritto poco. E poi c’è sempre il noir americano contemporaneo, ma non ipotechiamo il futuro.

 

Quali sono i noiristi italiani che predilige?

Come ho già detto è un terreno che bazzico poco. Comunque ho apprezzalo Carlotto, De Cataldo, Fois, Lucarelli, Colaprico, Nerozzi. Ma sono veramente i primi nomi che mi vengono in mente, chiedo scusa a tutti quelli che ho escluso.

Ci saluta con una citazione da “Le radici del noir” ?

Prendo in prestito le parole di un maestro contemporaneo, James Sallis, che esprimono molto meglio di come potrei io lo spirito con cui guardare questa letteratura popolare. “Questi libri sono…diamanti di seconda scelta, ma pur sempre diamanti. Fatti per essere usati, e non ammirati…eppure, messi in controluce, riflettono nuove prospettive di un mondo che credevamo di conoscere. E sanno penetrare a fondo oltre lo schermo dietro il quale la vita svolge il suo corso.” (cit. a pag. 32 del mio libro)

Le radici del noir di Pasquale Pede (Fondazione Rosellini, 2009) — Brossura - 260 pp — ill. a colori - f.to 24 x 30 — Euro 25

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