Genova, ultimo quarto del secolo scorso. Una città che è nera di morte e rossa di sangue, che è meridione e città aggrovigliata nelle sue viuzze, nelle sue contraddizioni, anche se Enzo Chiarini ha voluto come epicentro del suo romanzo Le mura della Malapaga la zona circoscritta di Todomondo, ovvero il tratto di centro storico che va dalla Darsena alle mura della Malapaga. Sullo sfondo, un’umanità diseredata, puttane, criminali, boss mafiosi, sorci umani e altri animali con sembianze da ominide, mentre in primo piano si staglia –subito tragica– la figura del protagonista, un ragazzino –quasi un bambino– Vittorio, detto Vittò. La storia comincia con la sua prima iniziazione alla vita, quella vera dei bassifondi, l’umiliazione, la reazione, la scelta, la crescita criminale sotto l’egida di uno dei capi quartiere che gestisce traffici di droga e prostituzione, che di grandioso non ha né coraggio né intelligenza. Niente, se non la sua madornale strafottenza. Che via sia una tensione di violenza non in crescendo ma pressoché costante, non si può a mio avviso inquadrare come tendenza parossistica: la violenza è cruda se crudeli sono le leggi della strada, gli istinti più biechi vengono scarnificati e il pulp rimane l’unica risposta, non c’è un miraggio di dimensioni ovattate, tant’è che quando un accenno di miraggio si profila all’orizzonte, subito scompare e lo fa tirandosi addosso la dannazione che Vittò porta tatuata nel profondo. La dannazione della sua Genova abietta, fatta di vicoli, passaggi segreti, confini, ma anche di odori di mare e di un’aria «commovente, capace di mettere i brividi e di farti ammettere che non saresti voluto nascere in nessun altro luogo, nonostante tutto.» (p. 172)

Fin dall’inizio vengono in mente archetipi cinematografici, in primis quelli di “C’era una volta in America”. Come nel capolavoro di Sergio Leone ci sono i ragazzini che voglion far strada nell’ambiente malavitoso –e perbacco se la fanno– in virtù della loro ambizione. Compaiono i capi rozzi dalla parlata sicula, la bellissima fanciulla apparentemente irraggiungibile, i gangster rivali, l’idealista che lotta imperterrito contro i mulini a vento, la prostituta che anela alla redenzione. Ma Chiarini li risolve con grande originalità e con taglio imprevedibile.

La narrazione in prima persona scorre rapida e il registro stilistico vi si adegua. Quando subisce qualche variazione, questa si riflette nell’excursus esistenziale del protagonista e non è mai casuale.

Struggente è l’aggettivo che darei a questo romanzo, se mi chiedessero la sua peculiarità. Struggente, ma non solo. L'editore Fratelli Frilli ha scelto di puntare su un libro forte, che colpisce dall’incipit e continua a scuotere sino all’ultima pagina.