Il rosso e il nero. Due colori innocui, se posizionati su un tavolo da roulette sprovvisto di giocatori; un po' meno innocui se, attorno a quel tavolo, le persone perdono intere fortune e, in alcuni casi, la vita.

Paolo e Mario non si conoscevano, ma si odiavano profondamente. Un odio atavico, daltonico, accomunato soltanto dall'insoddisfazione di quel periodo storico.

Un periodo politico grigio.

Grigio come il piombo.

 

Era una giornata di pieno sole del 1977, una di quelle giornate che ti fanno ben sperare nel futuro.

Bastava conquistarselo!

Era questo che pensava Paolo mentre camminava per le strade della città. Pensava agli studenti, ai lavoratori, al popolo; a tutte quelle persone che lavoravano molte ore al giorno per contribuire al progresso del Paese, ma i cui diritti non venivano riconosciuti.

Suo padre non aveva fatto la guerra, combattendo contro nazisti e fascisti, per vedere il Paese ridotto così!

Dopo la guerra aveva suo padre aperto un bar, L'Angolo Rosso, un punto di ritrovo per gli ex combattenti, e ora toccava a lui, a Paolo, continuare la lotta per la conquista della libertà!

Era per quello che, tra poco, lui e i suoi compagni, giovani come lui, si sarebbero ritrovati: per recidere un altro tentacolo di quel mostro senza volto chiamato Potere.

A pochi isolati di distanza, dalla finestra della sua camera, Mario fissava con odio il bar di fronte, frequentato da quegli infami traditori rossi: era per colpa loro se suo nonno, fedele al duce fino alla fine, era morto in guerra.

Bastardi comunisti!... Avevano voluto annientare il regime fascista a favore della democrazia, col risultato di affidare il governo della nazione ad un branco di cialtroni incompetenti, incapaci di salvaguardare gli interessi del Paese.

Ma sarebbe stata questione ancora di pochi minuti; dopodiché, lui e i suoi amici camerati avrebbero fatto irruzione in quel maledetto locale dal nome insopportabile, L'Angolo Rosso, per dare inizio alla mattanza.

 

Fulvio era seduto alla scrivania del suo ufficio. Dirigeva la Banca della Nazione da tanti anni, ormai, e nessuno si era mai lamentato, né gli impiegati né i clienti. Non si era mai interessato molto di politica, ma pensava che non occorresse essere dei genii per capire che tutte le persone andavano rispettate e che, senza il loro contributo, anche la sua carriera sarebbe finita in fumo.

Guardò l'orologio: erano quasi le cinque. Chiamò Rossana, sua moglie, a casa.

Fece squillare cinque volte, poi riagganciò.

 

Rossana raggiunse il telefono nero appeso ad una parete del corridoio un attimo dopo che Fulvio ebbe riagganciato. Non sappiamo cosa sarebbe successo se avesse risposto, ma il Destino, saltando da un numero all'altro, da un colore all'altro, come una pallina da roulette impazzita, la fece rispondere, pochi istanti dopo, alla telefonata successiva.

Era Bianca, la sua migliore amica, che la invitava ad uscire con lei.

Rimase un po' perplessa da quel repentino invito, ma accettò. Si sarebbero trovate a metà strada: davanti al bar L'Angolo Rosso.

Quando riattaccò la cornetta ripensò al tono affettato dell'amica: aveva l'impressione che dovesse dirle qualcosa di sgradevole ma importante.

 

Gaetano, il proprietario del bar più rinomato del paese, spolverava il bancone guardando soddisfatto la propria clientela. Era riuscito nel suo intento.

Quando la guerra era finita, le Brigate Garibaldi, ovvero le forze militari partigiane, si erano sciolte. Tutti quegli uomini, quei compagni - che avevano condiviso la fame, la sete, i rimorsi per le vite di innocenti spezzate a causa delle ritorsioni nazifasciste, e il perenne terrore di venire scoperti e uccisi, tutto per perseguire insieme il sogno d'un futuro migliore -, avrebbero rischiato di perdersi, risucchiati dalla routine della vita quotidiana. Fu per questo motivo che veveva aperto L'Angolo Rosso: per creare un punto di ritrovo per tutti i compagni sopravvissuti alla guerra.

Gaetano, mentre passava lo straccio sul bancone, constatò che in quel momento la clientela era eterogenea: non c'erano solo uomini e donne della sua età, ma anche giovani, che si sentivano uniti dalla stessa passione politica. Alcuni parlavano, altri cantavano.

Poi, il suo sguardo da ex combattente si catalizzò su quello che stava accadendo fuori dal locale: un gruppo di ragazzotti stava indugiando a pochi metri dall'entrata, guardando insistentemente verso l'interno. Da lì a poco, ne era sicuro!, si sarebbero calati dei passamontagna e avrebbero fatto irruzione da lui.

Per fortuna Maria, sua moglie, non era lì!

Prese la P38 che teneva vicino alla cassa, e chiamò la polizia.

Maria aveva avuto una giornata pesante, ma ora, finalmente, era quasi giunta in banca. Avrebbe dovuto andarci al mattino, a riscuotere un assegno per una festa che lei e suo marito avevano organizzato nel loro locale, ad alcuni isolati da lì.

Invece no, era stata risucchiata da mille altri impegni.

Quel mattino, proprio mentre stava per uscire, la chiamò la sua amica Bianca per confidarle che aveva un problema con Rossana, una donna che Maria non conosceva ma che era sempre più desiderosa di incontrare, dati i continui racconti che Bianca faceva su di lei.

O meglio: Bianca, come le disse, in quel momento non aveva alcun problema con Rossana, ma li avrebbe avuti appena le avesse detto cos'aveva scoperto sul figlio di lei.

La telefonata durò a lungo; Bianca era molto agitata, e Maria poté solo cercare di tranquillizzarla consigliandole di parlare, con calma, a quattr'occhi, con la sua amica.

Da quel momento in poi si erano susseguiti, anzi intrecciati!, una serie di imprevisti, sia in casa che fuori, che le avevano impedito di andare in banca fino a quel momento.

Era arrivata in piazza, la Banca della Nazione era proprio davanti a lei, mancavano solo cinquanta metri ormai. Sarebbe entrata e...

Si fermò di colpo!

Davanti alla banca c'era un gruppo di quattro ragazzi che stava confabulando: uno di loro era suo figlio Paolo. Poco più in là, un'auto bianca col motore acceso e autista già pronto sembrava in attesa.

C'era qualcosa che non andava.

Con profondo sgomento di Maria, i quattro ragazzi si misero i passamontagna, ed entrarono in banca.

Nel frattempo, a pochi isolati da lì, Bianca stava camminando spedita verso L'Angolo Rosso. Ogni suo passo era una scarica di adrenalina.

Aveva parlato con la sua amica Maria quella mattina stessa, e lei le aveva consigliato di vedere Rossana e di parlarle con calma.

Già. La faceva facile lei!

Come si faceva ad andare da un'amica e dirle: "Sai, tuo figlio è un terrorista nero, ha deciso di ammazzare tutti i comunisti perché mangiano i bambini"?

Con quel nome, poi: Rossana. Magari era cannibale pure lei!

E, soprattutto, senza prove!... Come poteva accusare il figlio di un'amica senza prove? Eh?! Come?

Così si era tormentata ancora per qualche ora, prima  di telefonarle.

Ma aveva visto Mario coi propri occhi la sera prima, ai Giardini di Via Prato, parlare con Biagio Neri, noto leader del movimento neofascista del paese.

E lei doveva dirlo a Rossana. Ad ogni costo!

Mancavano cento metri, ormai, alL'Angolo Rosso, e Rossana si chiedeva se la sensazione che aveva avuto al telefono con Bianca fosse giusta.

Un gruppo di ragazzotti, che aveva sostato fino a quel momento davanti al bar, se ne andò, e Gaetano, all'interno del suo locale, dietro il suo bancone, trasse un profondo sospiro di sollevo. Non era come aveva pensato!

Rossana giunse finalmente a destinazione, e, appena vide Bianca, si sbracciò, salutandola sorridendo.

Si abbracciarono.

Purtroppo, però, l'idillio finì quasi subito, sia per loro, nei pressi delL'Angolo Rosso, sia per la loro comune amica Maria, ad alcuni isolati di distanza, nei pressi della Banca della Nazione.

Nel momento in cui Paolo e i suoi compagni, tutti muniti di passamontagna, entrarono in banca, un'auto nera frenò stridendo davanti alL'Angolo Rosso e ne uscirono quattro ragazzi, anche loro coi volti coperti dai passamontagna e le armi in mano, che fecero irruzione nel locale.

Gaetano, veterano di guerra, reagì prontamente, e, appena vide il primo rapinatore entrare, scomparve sotto il bancone, evitando una sventagliata di proiettili che andarono ad infrangere la schiera di bottiglie alle sue spalle.

Il rapinatore ordinò alla cameriera di aprire la cassa; lei esitò, e lui le sparò.

Gaetano riconobbe la voce: era quella di Biagio Neri, a comando della sua banda di camerati neofascisti.

Brutti bastardi!... La rapina è solo un pretesto; in realtà volete ammazzarci tutti!Era questo che pensava Gaetano, non sapendo che, a pochi isolati di distanza, suo figlio Paolo stava compiendo la stessa azione: appena entrato in banca con i suoi compagni rossi, aveva sparato ad una ragazza, mentre due suoi complici avevano freddato le due guardie giurate, che avevano cercato di estrarre le pistole; dopodiché, Paolo aveva comunicato che quella era una rapina, ordinando agli impiegati di riempire il sacco e, ad una ragazza in particolare, di chiamare il direttore.

-- Ma non c'è – tentò di mentire debolmente lei, e lui le sparò.

Una donna urlò, e un altro rapinatore sparò pure a lei.

Per loro non era un problema uccidere, anzi!... Era la strategia del terrore: più morti facevano, meglio era.

Paolo ripeté l'ordine ad un altro giovane impiegato, e lui ubbidì, utilizzando l'interfono.

Quello che aveva sparato alla donna ordinò di sdraiarsi tutti a terra.

Obbedirono tutti nel massimo silenzio.

Anche alL'Angolo Rosso l'aria era statica; i clienti, immobili, facevano persino attenzione a deglutire.

I terroristi tenevano tutti sotto tiro, Neri ruotava il suo mitra in ampi semicerchi, in senso orario e antiorario. Si osservava intorno con aria circospetta; mancava qualcuno: il proprietario.

-- Ehi, bastardo d'un rosso, dove sei? – ringhiò, avviandosi e scrutando verso il bancone tendendo il collo.

Il suono delle sirene della polizia in arrivo gli fece girare la testa di scatto; Gaetano si sporse dal bancone e sparò un colpo, centrandolo al cuore: Biagio roteò su se stesso e stramazzò a terra, bocconi.

Quello fu l'inizio dell'inferno.

I tre terroristi superstiti cominciarono a sparare all'impazzata; gli avventori del locale che non erano ancora stati falciati dai mitra si avventarono sul pavimento; la polizia irruppe all'interno.

Un camerata amico di Biagio aggirò il bancone per ammazzare Gaetano, ma lui lo freddò con tre colpi in pieno petto.

Uno dei due terroristi rimasti gettò il mitra, si tolse il passamontagna, e si arrese: era Mario. L'altro imprecò e sparò una sventagliata contro i poliziotti; questi reagirono, crivellandolo di colpi.

I poliziotti ammanettarono Mario, e lo portarono fuori.

Ma la pallina di quella roulette impazzita che è il Destino, non si era ancora fermata. L'ultimo terrorista, quello rimasto in auto al posto guida, appena vide Mario uscire ammanettato partì sgommando, e sbandò.

-- Mario! – fu l'ultima parola di stupore che pronunciò Rossana; solo un ultimo sguardo con suo figlio, prima che l'auto nera, sbandando, travolgesse lei e la sua amica: Bianca fu scaraventata di lato, attraverso i vetri d'una finestra, all'interno del locale; mentre lei si ritrovò a percorrere, rotolando, tutto l'esterno dell'auto: cofano, tetto, bagagliaio, strada.

E lì si fermò. Per sempre.

Sotto gli occhi inorriditi di suo figlio.

L'auto nera continuò la sua folle corsa, e una volante della polizia si gettò all'inseguimento, chiedendo rinforzi alla centrale.

Mentre accadeva tutto ciò, alla Banca della Nazione si stava compiendo un'altra azione dedita al terrore; meglio organizzata, ma ugualmente spietata.

Appena Fulvio aveva sentito la voce del suo giovane dipendente all'interfono, aveva capito subito che la sua ora era arrivata.

Gli spari e le urla erano giunti fino a lui in modo netto e chiaro.

Lui lo sapeva, alcuni amici l'avevano avvertito che sarebbe entrato nel mirino dei terroristi rossi. E gli avevano pure consigliato di andarsene via dall'Italia, finché era in tempo.

Ma lui no: stoicamente, era rimasto.

E ora aveva già quattro vittime sulla coscienza. Il numero degli spari parlava chiaro!

Chiuse un momento gli occhi, terrorizzato da ciò che avrebbe trovato ad attenderlo.

Ma doveva scendere, assolutamente! Per il bene dei suoi clienti e dei suoi dipendenti, che aveva sempre cercato di tutelare!

Riaprì gli occhi, e si avviò.

Quando aprì la porta che conduceva nella hall, la scena che gli si presentò fu agghiacciante: una giovane impiegata, una cliente, e le due guardie giurate giacevano a terra, morte, ognuna in un lago di sangue che si allargava sempre più.

Paolo gli spianò la pistola contro. – Sei tu il direttore? – sibilò, sputando le parole come fossero un insulto.

-- Sì – rispose Fulvio, alzando lentamente le mani.

-- Spostati! – ordinò, facendogli cenno con la pistola.

Fulvio oltrepassò il bancone degli impiegati, camminando sempre adiacente al muro. Cercò di non pensare ai  cadaveri, per i quali si sentiva in parte responsabile.

L'unica consolazione che riuscì a trovare fu che, probabilmente, sarebbe accaduto comunque, anche se lui fosse andato via dall'Italia, con un altro direttore.

-- Fermo! – gli intimò Paolo.

Con un cenno del capo ordinò ad un complice di andare a prendere il sacco che gli impiegati avevano riempito di denaro.

Gli sguardi di Paolo e di Fulvio s'incrociarono, e Fulvio capì che non c'era nulla che potesse dirgli per indurlo a ragionare: agli occhi di quel terrorista, lui non era una persona con un animo e un pensiero propri, ma solo un ulteriore tentacolo da estirpare di quel mostro senza volto chiamato Potere.

Paolo gli sparò al ginocchio sinistro, gambizzandolo: Fulvio scivolò lungo la parete, rantolando di dolore.

Paolo corse fuori dalla banca, in piazza, seguito dai suoi tre complici, al grido di: "POTERE AL POPOLO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!".

Tutto sarebbe andato bene se, sotto gli occhi esterrefatti di Maria, dal nulla non fosse spuntata un'auto nera a tutta velocità, inseguita da tre volanti della polizia. L'auto nera evitò Paolo d'un soffio, ma la prima volante lo centrò, facendolo piroettare per aria e uccidendolo sul colpo.

Gli altri terroristi, vedendo le volanti, iniziarono a sparare all'impazzata; e, mentre la prima continuava il suo folle inseguimento, i poliziotti delle altre due, colti impreparati, furono falciati dalle raffiche dei mitra. Uno di loro, però, riuscì a puntare la vettura contro i terroristi, travolgendone due, prima di spirare.

Il terzo, quello col bottino, corse all'auto bianca; il complice al posto guida partì subito, lasciando in quella piazza un po' di cadaveri e una donna che avrebbe voluto essere morta.

Maria, con gambe malferme, si avvicinò al corpo del terrorista travolto dalla prima volante; quella che poi se n'era andata.

S'inginocchiò accanto a lui, gli sollevò la testa, e, con tutto l'amore che solo una mamma sa donare, gli tolse il passamontagna, trovando ciò che temeva: il volto di suo figlio.

Il suo urlo di dolore si propagò ovunque: per suo figlio Paolo, ucciso da una volante della polizia che aveva cominciato la sua corsa a pochi isolati da lì gettandosi all'inseguimento di un'auto nera, che a sua volta era partita travolgendo Bianca e Rossana, che a loro volta avevano visto e riconosciuto Mario, che a sua volta faceva parte d'una banda di terroristi neri che avevano tentato di uccidere Gaetano, proprietario delL'Angolo Rosso e marito di Maria, che a sua volta era amica di Bianca, a sua volta amica di Rossana che aveva voluto vedere, su consiglio di Maria, per avvertirla che suo figlio Mario era un terrorista nero, non sapendo che proprio quel giorno, in quel luogo, a quell'ora, avrebbero visto la polizia arrestare Mario, figlio di Rossana e di Fulvio, che a sua volta era il direttore della Banca della Nazione e che a pochi isolati da dove era Mario sarebbe stato gambizzato da Paolo, figlio di Gaetano e di Maria, capo d'una banda di terroristi rossi, che ora giaceva morto tra le braccia di sua madre.

Già, il rosso e il nero. Due colori innocui, se posizionati su un tavolo da roulette sprovvisto di giocatori; un po' meno innocui se, attorno a quel tavolo, le persone perdono intere fortune e, in alcuni casi, la vita.

Ma, a volte, la roulette prende la forma del Destino, facendo saltare la pallina da un numero all'altro, da un colore all'altro, per poi farla fermare, inesorabilmente, sullo 0.

Né rosso né nero.

Zero, verde.

La sconfitta totale per tutti i giocatori.

Come in una roulette russa.

E tutto quel che rimane è un insopportabile color verde.

Verde rabbia.