Gruppo di famiglia, padre, madre, tre figli, in un interno-esterno. L’esterno, soprattutto l’esterno, è un tratto di autostrada chiuso al traffico. Tranquillo, pacioso, innocuo, una striscia d’asfalto dove prendere il sole, passeggiare, andare in bici, oziare nelle calde notti d’estate. Poi, complice l’apertura al traffico, eccolo tramutato in un inferno vero e proprio al quale tentare di adattarsi e qualora ciò non avvenga dal quale fuggire (o almeno tentare….).

Tra adattamento e diniego (vedi la figlia più grande e le sue immutabili abitudini…), Home della svizzera Ursula Meier è un film multistrato. Il primo strato è quello di un vero e proprio manifesto “verde” nel senso “ambientalistico” del termine e che fa di Home il film più “verde” che c’è in giro, un film che affonda la lama della denuncia nella piaga del traffico e soprattutto in quella del rumore.

Il secondo strato però è tutt’altro, e diventa più evidente mano a mano che ci si avvicina alla fine: si tratta di una riuscita incursione, per quanto forse inconsapevole nel genere horror.

Ammettiamo pure che Home sia un horror “inconsapevole” per tutto ciò che riguarda le intenzioni, però i materiali di base ci sono (una casa, una famiglia, un pericolo che improvvisamente si manifesta), così come c’è in pieno il risultato in termini sua di “paura”, sia di “togliere il fiato” (letteralmente e non solo in chi guarda…), senza trascurare il fatto che dice qualcosa anche sui tempi che viviamo.

Finale convenzionale ma molto “aperto” grazie all’impagabile madre coraggio Isabelle Huppert, nel ruolo che più le si addice, quello del sì “sola con tutte le sue lacrime” ma anche quello in “compagnia di tutta la sua forza”.