Netto come un colpo di pistola. Esplosivo come lo scoppio di una bomba. Mozzafiato come una corsa a tutta velocità. Questo e molto altro è Balkan Bang! opera prima di Alberto Custerlina (libri/7237/) che questo mese è il gradito ospite del nostro salotto letterario virtuale. Un romanzo denso e rapido, dalle tante sfaccettature.

Per prima cosa grazie Alberto per aver accettato di essere qui. E direi di partire dal principio, cioè dal titolo. Balkan Bang! E' un titolo particolare, che a me richiama a tratti suggestioni da fumetto. Come lo hai scelto? Avevi il titolo e da lì ha preso le mosse il tutto o il titolo è arrivato dopo?

Il titolo è arrivato durante la stesura. All'inizio l'avevo lasciato in bianco, con la convinzione che se mai avessi trovato una casa editrice disposta a pubblicarmi, di certo avrebbe stroncato il mio per mettere uno di loro gradimento. Poi il Bang! l'ho scritto in una scena e in quel momento ho visto la luce. In un angolo del mio studio è apparso Quentin Tarantino travestito da Josip Broz Tito, luminoso come il sol dell'avvenir, e mi ha detto: "Balkan Bang! sarà il titolo". E così è stato.

Da dove nasce l'idea?

L'idea di partenza era scrivere un romanzo che fosse molto distante da quei sottogeneri che ormai mi provocano soltanto fastidiosi pruriti epidermici. Quindi niente commissario di provincia tormentato, niente caccia al serial killer e niente riformulazione della cronaca politica e criminale italiana degli anni '70. Quello che volevo era qualcosa d'iperbolico, un po' sopra le righe. Qualcosa che nessuno avesse mai scritto in Italia, soprattutto a livello di stile (non so se ci sono riuscito, ma questa era l'idea di partenza). Così ho provato prima un'ambientazione americana, tanto per sciogliere dita e meningi, ma le prime stesure non hanno soddisfatto né me, né altri lettori. Ovvero, a livello di stile non era male, di certo avevo imboccato la strada giusta, ma si sentiva che l'ambientazione non era nelle mie corde. E poi scrivere dell'America sarebbe stata una minchiata di per sé. Allora ho ripescato un'idea che mi frullava in testa già da un po' e ho ricollocato la storia in Bosnia. Ho mantenuto solo una parte della struttura e un po' di personaggi, opportunamente balcanizzati. Il resto l'ho riscritto tutto. Più volte, come sempre.

E come è stato l'approccio con il foglio bianco?

Il foglio bianco l'ho visto solo per qualche secondo. L'ho subito riempito di parole e parolacce.

Quindi non è stato difficile costruire un incipit convincente.

No non è stato difficile. Questo incipit è un omaggio a un autore che amo molto. Qualcuno mi ha detto che è perfino meglio, ma io la considero una bestemmia. A questo proposito, ti sarai accorta che il romanzo è disseminato di riferimenti e omaggi a film, romanzi, fumetti e musica.

Il romanzo in effetti suggerisce molte contaminazioni tra mezzi di comunicazione una di queste è quella cinematografica. E' voluta?

Assolutamente si: il mio è un libro di genere e come tale ritengo debba essere il più cinematografico possibile (per me questo è un binomio inscindibile). Leggendo Balkan Bang! la gente deve divertirsi e con questo non voglio dire che deve ridere senza sosta, ma anche preoccuparsi, prendere paura, eccitarsi, incazzarsi, eccetera. Come se fossero al cinema. Così devono essere i miei romanzi.

Quindi tu ritieni che un libro di per se stesso non abbia il potere di eccitare, divertire, far incazzare il lettore?

Come blocco di fogli di carta, no, non ha questo potere, ma se sopra i fogli ci sono scritte le parole magiche, allora si che assume quel potere. Le parole devono essere quelle giuste, non parole qualsiasi. Se sbagli le parole, combini disastri. Ricordi "klaatu-verata-nikto"?

E visto che stiamo parlando di questa contaminazione, come ti immagini un possibile trailer di Balkan Bang!?

Il booktrailer era previsto, ma impegni vari di varie persone (tra le quali io) non hanno permesso la sua realizzazione finale, ma c'è ancora speranza. Comunque me lo immagino a disegni, a fumetti. Sul sito nuovo (www.balkanbang.info), ci sono alcune tavole che il grande Onofrio Catacchio ha preparato per la promozione del romanzo.

Ti piacerebbe che da Balkan Bang! fosse tratto un film?

Naturale. E' una cosa a cui ho pensato durante la stesura, anche se non tutto il romanzo è strutturato per il cinema (e comunque non ha importanza che lo sia). Comunque sarebbe un punto d'arrivo importante. Mi piacerebbe anche partecipare alla scrittura della sceneggiatura, più che altro come osservatore, per imparare.

Come ti ho accennato e come tu stesso hai già confermato, il titolo mi ricorda molto il mondo del fumetto. C'è anche questo tipo di contaminazione?

Esatto. Molti notano il legame tra Balkan Bang! e il cinema, ma pochi quello con il fumetto. Invece c'è ed è forte. A titolo d'esempio, cito un titolo che mi ha influenzato molto: Sin City. Personaggi esagerati, chiaroscuri, scene tagliate con il coltello. Oppure Il Cavaliere Oscuro, sempre di Frank Miller, dove persino il supereroe che per definizione dovrebbe stare dalla parte dei buoni, possiede un forte tratto negativo e grandi dubbi morali. E poi, Diabolik, i fumetti erotici italiani degli anni '70, Bunker, Jacques Tardi e tanti altri. Insomma, il fumetto è un grande protagonista dell'arte popolare dei nostri tempi e chi lo frequenta non può pensare di non esserne influenzato.

Una frase che colpisce molto e che, di fatto secondo me suggerisce molto del romanzo, invogliando alla lettura è quella usata per presentarlo: "Un romanzo d'esordio che è un gioco delle parti dove le parti non sanno a che gioco stanno giocando.": a me porta alla mente anche suggestioni teatrali…

L'intreccio porta i personaggi a muoversi lungo strade che loro ritengono sicure, ma che poi si rivelano dei colossali buchi nell'acqua. Ognuno di loro ha il suo infallibile piano, ma nessuno riesce mai a considerare tutte le variabili in gioco e quindi qualcosa va sempre storto. E siccome la vita è caos, una piccola mossa sbagliata all'inizio, può diventare una tragedia alla fine. In fondo è quello che succede spesso a tutti noi, no? Riguardo alla suggestione teatrale, posso dirti che a teatro ci vado, ma non spesso. Riguardo agli autori, adoro Shakespeare e sono molto affascinato dalle sue trame. Può essere che io ne sia stato influenzato. Lo sai qual è il punto a questo riguardo? Io mi sento come una specie di spugna che assorbe film, romanzi, fumetti, teatro, musica, notizie di cronaca, discorsi della gente, esperienze personali, articoli scientifici e tanta altra roba; tutto questo materiale poi si deposita nel mio cervello e al momento giusto se ne esce sottoforma di idee, trame, dialoghi, personaggi, frasi. Mi sento una specie di "media processor", se mi passi il termine, il cui output è controllato dal mio ego, dalla mia personalità. Chissà se succede così anche agli altri?

Cominciamo a entrare nel merito dell'opera. Senza dubbio una parte molto affascinante del tuo libro è l'ambientazione: hai scelto una Sarajevo post bellica, città di confine e di passaggio, città piena di contraddizioni e spunti. Come mai questa scelta?

Tutti noi abbiamo seguito le cronache della guerra in Bosnia e ora crediamo che sia tutto finito e tutto sia tornato a posto: non è così. La mia storia si dipana tra le strade e i vicoli di Sarajevo, una città abitata principalmente da tre etnie, ognuna delle quali ha la propria religione, le proprie tradizioni e i propri conti in sospeso con le altre due. Capirai cosa può succedere in un posto come questo, soprattutto se ci sommi un fiorente mercato criminale. Tieni conto che alla fine della guerra, in Bosnia giravano un sacco di armi e il governo era pressoché assente. La corruzione era alle stelle, la forza di pace faceva la forza di pace e la gente avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di guadagnare qualche soldo. Insomma, un terreno molto fertile per la rinascita delle organizzazioni mafiose. In pratica, fino a qualche anno fa, la guerra è continuata a livello criminale con regolamenti di conti, omicidi, bombe nei casino e fiumi di droga, armi e donne che fluivano dall'est verso l'ovest passando proprio per i Balcani. E oggi la situazione è migliorata solo a livello d'immagine e neanche tanto. Proprio un mese fa, a Zagabria (capitale della Croazia), è saltata in aria l'auto del direttore di un giornale che si ero occupato un po' troppo di questioni delicate, tra mafia e politica. Purtroppo, dentro l'auto c'erano lui e il suo direttore marketing.

E come hai fatto a ricostruirla a rendere l'atmosfera…?

Riguardo alla costruzione dell'ambientazione, devo dire che non è stato difficile perché con i Balcani ho sempre avuto un rapporto molto stretto. Io abito a Trieste, una città che amo definire "sull'orlo dei Balcani" e la mia vita è sempre stata proiettata più a est che a ovest. Da piccolo, con i miei, genitori, si andava più volentieri in giro per la Jugoslavia che per l'Italia. Da grande, oltre a mantenere queste rotte, sono stato accolto dalla comunità slovena di Trieste e la mia compagna è di madrelingua slovena. Riguardo a Sarajevo, naturalmente ci sono andato di recente, per vivere l'atmosfera che vi si respira oggi e per osservare in presa diretta tutti quegli aspetti, anche di carattere pratico, che mi servivano per ricostruire un ambiente più realistico possibile.

In questa Sarajevo, come tu stesso hai anticipato, si muovono molti personaggi, ciascuno appartenente a un’etnia e con una storia personale. Quasi tutti i personaggi si confrontano con se stessi e con il fardello che si portano dietro, ma tutti sono accumunati dal fatto di essere tutti criminali o poliziotti, vendicatori o corrotti, tutti sopra le righe. Sembrano non esserci persone "normali".

Sarajevo
Sarajevo
Esatto, come nella realtà di tutti i giorni, le persone "normali" non esistono. Quella che noi chiamiamo "normale" è solamente una persona più brava a nascondere la sua parte oscura, quella parte che per convenzione sociale non va bene. La differenza tra i miei personaggi e le persone reali sta nel fatto che i vizi e i difetti dei primi sono un po' amplificati, un po' sopra le righe rispetto ai secondi (e in molti casi neanche tanto). E tieni presente che il lettore ha la possibilità di conoscere i personaggi anche nelle loro situazioni più intime e nei loro pensieri, mentre noi, nella vita reale, vediamo solo alcuni aspetti delle persone che conosciamo. Ti assicuro che se potessimo vedere tutto di loro, nessuno sembrerebbe più una "persona normale".

In Balkan Bang! non esiste una vera divisione tra buoni e cattivi. Alcuni sembrano buoni, ma in realtà hanno lati oscuri, molti sono uomini "d'onore" o personaggi interessanti, ma di fatto sono criminali, altri ancora sono criminali incalliti e di professione. Insomma i buoni non esistono?

La divisione tra buoni e cattivi è una catalogazione di comodo. Ognuno fa quello che fa esclusivamente per il proprio tornaconto: a volte si tratta di un'azione positiva anche per gli altri, a volte no. E come la cataloghi, dipende da che parte stai. All'interno del romanzo c'è un personaggio che si pone molte domande a riguardo, soprattutto sulla "bontà" dei poliziotti, che in teoria dovrebbero essere quelli che stanno dalla parte del "bene". Io lascerei al lettore le considerazioni finali.

Parliamo per un attimo di Zorka, la figura femminile predominante dell'opera.

Zorka è una figura archetipica, mitologica. Una predestinata. Una persona il cui destino è stato deciso da altri. Per tirarla fuori mi sono ispirato a un famosissimo personaggio cinematografico, ma visto completamente alla rovescia. E non chiederlo nemmeno: neanche morto ti dico di chi si tratta. Quello che posso dire su di lei è che a dispetto dell'apparenza superficiale, si tratta di un personaggio molto complesso: bisessuale, sado con gli uomini e maso con le donne, calda e fredda, violenta ma bisognosa di attenzione. Per il resto preferirei che il lettore la scoprisse leggendo il romanzo. Aspetta, ancora una cosa la possiamo dire: è bellissima.

Tu a quale dei tuoi personaggi ti senti più vicino e perché?

Io sono tutti i miei personaggi. Ognuno di loro possiede una parte di me, seppur piccola. E sentirsi troppo vicini a un personaggio in particolare è un'emozione che non mi piace, perché potrebbe sbilanciare l'equilibrio del romanzo (sempre che lo scrittore, questo equilibrio, lo voglia mantenere). Io ho cercato di mantenere equidistanza da tutti loro per cercare di creare un affresco più completo possibile di fauna umana, di caratteri, di etnie e di religioni.

Qual è la scena che ti sei divertito di più a scrivere?

Due: il primo incontro tra i due vecchi boss e la rissa/sparatoria nel ristorante tex-mex.

E quella in cui hai fatto più fatica?

La gestione del finale. Se hai notato, il romanzo è un'accelerazione continua e quindi il finale doveva essere molto veloce, ma allo stesso tempo dovevo sciogliere molti nodi. Una faticaccia.

Ora parliamo di un aspetto che interessa molti lettori della nostra rubrica, che magari hanno il proprio romanzo nel cassetto. Tu come sei arrivato alla pubblicazione?

Come fanno tutti. Ho scelto una casa editrice, quella che più m'interessava, e ho spedito loro il manoscritto. E' piaciuto e mi hanno pubblicato.

In realtà non per tutti è proprio così, tu sei stato fortunato al primo colpo. Cosa suggerisci di fare a chi vuole tentare la via della pubblicazione?

Lo so che non funziona così per tutti, era una provocazione. Prima faccio una premessa e poi mi spiego. Premessa: uno degli atteggiamenti che più m'infastidiscono delle persone è la presunzione, ma siccome devo rispondere a questa domanda, devo rischiare di sembrarlo io stesso. La mia non è stata una questione di fortuna. Quando si scrive un romanzo, non lo è mai. E comunque, anche se fosse, consiglio di non affidarsi mai alla fortuna. Se lo si scrive bene, ma veramente bene, lo si pubblica. Io sono convinto di questo. Veniamo ai principali consigli sulla scrittura e poi torniamo alla pubblicazione.

Atteggiamento: umiltà al massimo. Leggersi e criticarsi. Fare leggere e accettare le critiche. Inghiottire rospi e uccidere i propri cari. Essere coscienti che il vostro romanzo non potrà mai e poi mai piacere a tutti. Tempo: non essere frettolosi. Riscrivere anche un milione di volte. Limare, tagliare. Scrivere dovunque e ogni giorno, anche solo un'ora. Io ho scritto anche in vacanza. Alla fine, sono stati due anni e mezzo di lavoro.

Studio: bisogna studiare i propri autori di riferimento, non soltanto leggerli. Bisogna cercare di carpire la loro magia e riutilizzarla, ma attenzione: non copiare. Adottare tecniche personalizzandole, questo va bene. Studiare bene anche l'italiano, e non sto dicendo una banalità: chi riceve e legge manoscritti lo sa di cosa parlo.

Conoscenza: bisogna conoscere quello di cui si vuole scrivere. Conoscerlo a fondo, però. Bisogna anche avere una grande cultura: letture, visioni, esperienze.

Pazienza: non si scrive Balkan Bang! al primo colpo. Nel mio cassetto ci sono altri 3 romanzi.

Disciplina: Applicare tutti i consigli precedenti sempre e comunque. Senza eccezioni. Scrivere è un po' un'arte marziale. Riguardo alla pubblicazione, vi esorto a non pagare mai e a non accettare proposte da case editrici che non trovate nelle librerie oppure online. Il problema principale, infatti, non è pubblicare, ma far arrivare il vostro libro nelle mani dei lettori. Distribuzione. Ecco il problema.

Tu sei soddisfatto?

Per com'è andata in questa fase iniziale, si. Ora vediamo come va il romanzo alla lunga e intanto attendiamo sviluppi e proposte. All’orizzonte c'è già qualcosa che si muove.

Se dovessi convincere il lettore a comprare il tuo libro con uno slogan, quale slogan inventeresti?

Balkan Bang! La cocaina di carta.

Definisci Balkan Bang! con tre aggettivi.

Divertente, intelligente, adrenalinico.

Chiudiamo con quella che è forse la cosa che meno mi ha convinto del tuo romanzo. Molti fili restano in sospeso, non dai tutte le risposte, in parte lasci a lui la scelta, in parte lasci grosse zone d'ombra e forse non appaghi tutti gli appetiti e le aspettative di chi legge. Perché?

Far venire al pettine tutti nodi vorrebbe dire adottare una delle regole sacrosante del giallo, ma siccome Balkan Bang! non è un giallo, non l'ho fatto. A me piacciono molto le storie che lasciano aperte delle strade secondarie oppure che non risolvono completamente il finale. Secondo me, in questi casi il lettore si porta dietro il romanzo per più tempo, può discuterne con gli altri, immaginare cos'è successo veramente all'interno dei fatti non svelati, eccetera. Un finale totalmente risolutivo, invece, chiude la storia di botto e una volta posato il libro sullo scaffale della tua libreria, la catarsi è già raggiunta e non ci pensi più. Insomma, un finale un po' aperto mi sembra più interessante per il lettore. E poi, allo scrittore resta socchiusa la porta per un sequel…

Ci stai già pensando?

Prima stesura a metà. Ho in testa anche uno spin-off a fumetti.

Non ci resta quindi che restare in attesa. Grazie ancora Alberto, per la disponibbilità e.. buon lavoro!

Un grazie anche a Onofrio Catacchio per i disegni.