E’ il quarto libro tradotto in Italia e pubblicato dall’editore Tropea di un’autrice ancora poco conosciuta. Non una scrittrice di professione ma una storica che ha insegnato Storia economica contemporanea nelle università parigine.

"La Storia come metodo di ragionamento e di lavoro: letture, incontri, riflessioni.

La scelta di un soggetto di studio e la formulazione di ipotesi. Poi ricerche, raccolta di fatti, elenchi, tracce. Infine critica delle ipotesi di partenza e immaginazione di quello che è stata la vita e la morte degli uomini sulle cui tracce si lavora. Costruzione di una macchina razionale che riunisce tutti gli elementi conoscitivi accumulati e stesura.

Si tratta di un metodo perfettamente trasportabile nella scrittura dei polizieschi o noir.

Sono diventata romanziera non per vocazione ma per disperazione.

L’arrivo di Mitterand al potere segnò, in certo qual modo, la fine delle speranze di trasformazione radicale della società. A quel tempo il noir mi parve la forma più appropriata per raccontare l'esperienza della mia generazione. La mia pratica professionale di storica mi è sembrata rappresentare lo strumento adeguato per tentare l'esperienza di scrittura del romanzo". (Dal sito dell’autrice www.dominiquemanotti.com)

Il titolo originale, Nos meilleures annéé fric, ritengo fosse molto più accattivante e meno evocativo della vicenda.

Si tratta di una vicenda molto intricata ambientata negli anni 80, al tempo della presidenza Mitterand, alla vigilia di una tornata elettorale.

Una vendita di armi all’Iran durante la guerra con l’Iraq, un aereo che scompare, prostitute di alto bordo che fanno da tramite fra potere politico e faccendieri di ogni risma, banchieri mediorientali, giornalisti politici dal ricatto facile, la polizia politica e la brigata criminale che si affrontano in un duello che lascia sul terreno molti morti.Critica La trama risulta molto macchinosa. Le scene dei crimini perpetrati dai numerosissimi personaggi si avvicendano a una velocità da telefilm americano, tanto da costringere il povero lettore a tornare indietro più di una volta per collegare un nome a una vicenda già accaduta. Alla fine il quadro è ricomposto ma quello che manca quasi totalmente è lo spessore psicologico dei personaggi. C’è un tentativo non compiutamente riuscito di delineare a tre dimensioni la figura di una poliziotta araba, intelligente e ambiziosa, ma tutti gli altri non sono che nomi e figure senza volto che si muovono in continuazione, senza tuttavia lasciare nel lettore traccia di un’emozione.