Tre giorni all'inferno, lo ammetto, li ho passati anch'io. Il famigerato ponte del primo maggio, il sottoscritto l'ha trascorso in compagnia degli incubi che Valter Binaghi ha saputo mettere magistralmente su carta per il coraggioso Sironi. Quattrocento pagine fitte di emozioni, suggestioni e riflessioni, una storia in cui la fantasia si mischia alla realtà in un modo talmente indissolubile da far venire la pelle d'oca.

La storia è quella di un gagliardo giornalista di provincia che cerca in tutti i modi di lasciarsi alle spalle un matrimonio naufragato. Il lavoro non gli concede tregua, la figlia lo assilla con i propri problemi di adolescenza brufolosa e solo qualche fugace rapporto sessuale a pagamento riesce a rendergli quei sorrisi dimenticati, tempo prima, chissà dove.

La provincia, all'improvviso, viene scossa da un fattaccio che metà basta: dietro a tutto ci sarà sul serio solo un gruppo di giovani satanisti? Bonetti indaga, non può fare altrimenti anche se, in cuor suo, lo farebbe anche.

I delitti inquietanti si susseguono più orribili che mai, Binaghi tesse una tela fitta e raffinata grazie alla sua straordinaria forza narrativa e più la trama si fa complessa, più la verità diviene incredibile e gli scenari si fanno angoscianti.

Non è solo un romanzo corposo, I tre giorni all'inferno di Enrico Bonetti cronista padano sono un corpo a corpo tra il Bene e il Male, una rissa in cui Binaghi ci trascina afferrandoci per il collo - anzi, per i testicoli - per costringerci a infilare il naso nello schifo che ci circonda ma che, guardiamoci intorno, non a tutti fa poi così schifo.