Un bel giallo d’esordio per una scrittrice dalle mille sfaccettature.

Artista poliedrica (attrice di cinema, teatro e televisione, sceneggiatrice e insegnante di recitazione), Francesca Ventura debutta come scrittrice con un libro che formalmente è un giallo. Ma che in realtà è molto di più.

Le due caratteristiche che fanno, subito, del romanzo un libro perfetto sono la dignitosa corporatura (sotto le duecento pagine) e l’impianto del giallo classico. Con un linguaggio scorrevole, limpido e accattivante, la storia intreccia due mondi che l’autrice conosce bene: il mondo del cinema (il protagonista è uno sceneggiatore) e quello dell’enologia (tra le altre cose, la Ventura è anche sommelier) in cui i soldi sono il motore che mette in moto sentimenti e avvenimenti.

La trama è apparentemente semplice.

A Soria, un paesino toscano (creato ad arte per il romanzo) dove non accade mai nulla e dove, appunto, i Carabinieri sono annoiati dalla routine, Vitaliano Silliro, uno sceneggiatore un po’ troppo dipendente dal vino e dal “fumo”, è subito vittima di un attentato alla sua vita e al furto della sua ultima sceneggiatura (la storia di una serata trascorsa in enoteca poi finita male). Comincia così l’indagine dell’irresistibile maresciallo capo Dante Mezzetti (bello come Marlon Brando) e della sua squadra (altrettanto irresistibile) che segue ogni sua pista e lo incalza con suggerimenti e piena collaborazione.

Tra enologi, viticoltori, collezionisti, cultori, bevitori e curiosi, il romanzo si popola di personaggi ambigui e poco disponibili. Nel corso delle pagine, che scorrono come un fiume in piena, lo sceneggiatore è sempre più confuso (ha deciso di smettere di bere e l’astinenza si rivela anche peggiore delle sbornie) mentre il maresciallo è impegnato a rintracciare il bandolo della matassa che gira e rigira su se stesso senza esclusioni di colpi. Trovare la soluzione non sarà semplice ma nemmeno impossibile.

I protagonisti di Rosso d'annata sono gli uomini sono anche se circondati da una schiera di co-protagoniste donne che non appaiono solo come décor della storia ma che muovono i fili come e meglio dei loro comprimari. Le battute tra l’appuntato Rossi e il brigadiere Allegroni sono, forse, la parentesi più divertente (e teatrale) del romanzo. Tra le righe si percepisce l’esperienza dell’autrice, fatta di battute, rimandi e di tutto un mondo conosciuto (quello dell’arte della recitazione) che qui ha saputo riciclare e adattare all’universo della letteratura aprendosi ad una nuova esperienza artistica.