Si possono scrivere ben 550 pagine di un noir classicamente svedese (con tanto di dedica iniziale ai precursori Sjöwall & Wahlöö, “che l’hanno fatto meglio di quasi chiunque altro”) attorno a un solo omicidio?

Si può per tre quarti del romanzo affidare l’indagine all’ineffabile commissario dell’Anticrimine di Stoccolma (in missione a Växjö) Evert Bäckström che, oltre ad avere una smisurata autostima (come “vero poliziotto”, come ineguagliabile dongiovanni, come mente sopraffina), non riesce a far altro che schedare col DNA mezza popolazione e, soprattutto, sbronzarsi, molestare sessualmente una giornalista (con il suo “supersalame” declassato dalla vittima a “piccolo würstel raggrinzito”), guardare film porno a carico dello stato e far la cresta sulle fatture di rimborso spese?

Si può per le solite 550 pagine e 100 microcapitoli prendere allegramente per i fondelli non solo i poliziotti inetti come Bäckström o pazzi come l’ex capo della polizia Nylander, ma anche le tentazioni scientiste alla CSI, l’operato di detective seri e tenaci come il commissario Jan Lewin (in fase di divorzio e tendente alla depressione, ma in sostanza il vero artefice della scoperta del colpevole) e persino il carisma del superpoliziotto Lars Martin Johansson, protagonista dei precedenti romanzi e qui declassato a spalla, pur nella veste di nuovo capo della polizia?

Si può infine strizzare ironicamente l’occhio al lettore fedele di noir scandinavi (in patria e all’estero) alludendo ai propri colleghi di delitti (di carta)? È solo un caso che la ragazza assassinata, allieva di polizia, si chiami Linda Wallin, quasi come la Linda Wallander (per un periodo anche lei allieva poliziotta) creata dallo svedese Henning Mankell? O che il padre della suddetta Linda si chiami Henning (vedi sopra)? O che una collaboratrice di Lars Martin Johansson si chiami Anna Holt quasi come la “giallista” norvegese Anne Holt? O – ma qui forse entra in gioco la nostra paranoia di specialisti – che l’altra collaboratrice del capo di nome faccia Lisa (quasi) come la svedese Liza Marklund?

Sì, tutto questo è possibile, anzi è avvenuto in Anatomia di un'indagine di Leif GW Persson, criminologo svedese che sembra spassarsela un mondo (e non da adesso) nello smontare tutti i luoghi comuni sulla tradizionale trasparenza e correttezza della società scandinava.

Perché oltre ai poliziotti depressi, pazzi, alcolisti, meschini, narcisisti ci sono giornalisti che per una notizia sarebbero disposti a tutto, politici di sinistra che vivono in lussuose ville, ex mariti maneschi che entrano a far parte di un comitato per proteggere le donne e via dicendo.

Non si salva proprio nessuno dalla penna acuminata del nostro Persson e, a dirla tutta, neppure il lettore: perché se tutto il romanzo sembra un perfetto vademecum di come NON si debba fare un’inchiesta e, soprattutto, di come NON sia la Svezia degli ultimi decenni, tuttavia l’interminabile succedersi di pagine e pagine in cui non succede quasi nulla lascia il segno. Sì, lo sappiamo che magari Persson fa il verso alla spesso insulsa procedura della vera polizia svedese e di quella letteraria di maggior successo (quante pagine del nostro amato Mankell avremmo sacrificato a un ritmo più serrato?); comprendiamo che sta portando alla massima tensione la vis polemica dei suoi modelli Sjöwall & Wahlöö, pur utilizzando l’ironia la posto dall’aperto sarcasmo; e possiamo accettare che in un panorama sempre più affollato (in patria e ora anche in Europa) uno scrittore di noir debba scegliere strade sempre più impervie per segnalare la propria diversità.

Però, accidenti, almeno un altro morto, disseminato dove voleva lui, non poteva regalarcelo?

 

Voto: 7