Due uomini. Il primo, Andrew Wyke (Michael Caine), scrittore di gialli, celebre, anziano. Il secondo, Milo Tindle (Jude Law), parrucchiere aspirante attore, sconosciuto ai più, giovane. Una convitata di pietra, la moglie di Wyke. È per lei che Milo si reca nella villa di Wyke per convincerlo a concederle il divorzio visto che ora è lui, cioè Milo, a viverci sotto lo stesso tetto. Un tempo ciascuno: nel primo Wyke distrugge Milo, nel secondo il contrario (obbligo glissare sui minuti finali…), il tutto rigorosamente in interni, una casa supertecnologica costantemente ripresa da un numero imprecisato di telecamere di sicurezza. Sleuth - Gli insospettabili di Kennet Branagh (remake dell’omonimo film di Joseph Mankiewicz con Laurence Olivier nei panni dell’odierno Micheal Caine e quest’ultimo nei panni del Jude Law di oggi) è, vista l’impostazione fortemente teatrale, molto parlato e dal ritmo non incalzante come si legge in giro. Tante le coppie di opposti in gioco, perlomeno quante sono le dita di una mano (o di più?): vecchiaia-giovinezza, ricchezza-povertà, fedeltà-tradimento, verità-bugie, eterosessualità-omosessualità. È un film con due parti recitate con bravura e cosa non molto frequente in scioltezza e profondità e che si affida, come detto già, principalmente ai dialoghi (del Nobel Harold Pinter), dialoghi dal contenuto per lo più cinico (“Le buone intenzioni? È come cantare White Christmas col buco del culo” dice Wyke). Sviscera sì tutto quello che passa tra i due uomini, ma a fargli le bucce ci si accorge che si morde un po’ la coda perché anche i dialoghi migliori hanno in definitiva dei limiti evidenti.