A quando un minimo sussulto di pudore che impedisca una volta per sempre la generazione, a discendere da un capostipite, di capitoli aggiuntivi (diciamo dal terzo in poi…) che nulla aggiungono mentre tutt’al più tolgono qualcosa? Nell’attesa (fiduciosa perché no?) tocca occuparsi del quarto capitolo di Die hard, ribattezzato Die Hard – Vivere o morire, a firma di Len Wiseman. La posta sul piatto è talmente chiara da non ammettere mezze misure: ripescare a distanza di dodici anni l’analogico John McClane (Bruce Willis), metà poliziotto integerrimo tendente al patriottico (“Non è un sistema, è una nazione!” è la battuta che lo identifica…), metà spavalderia, solo e soltanto per contrapporlo ad un mondo digitale che fa delle intrusioni informatiche e dei crack di sistema l’architrave di un edificio quanto mai apocalittico visto che mandare in tilt in ordine il sistema di controllo del traffico di una metropoli, i computer della Borsa con l’aggiunta di un falso allarme antrace, sono eventi che anche a volerli prendere singolarmente, sono più che capaci di mandare alla malora il normale metabolismo della metropoli stessa. A voler fare le bucce al film qualcosa qua e là funziona, ma è poca roba. Come nel terzo episodio anche stavolta McClane si trova con al fianco un partner per così dire involontario (da Samuel Jackson dell’episodio precedente al poco incisivo Justin Long di oggi nei panni di tale Farrell, hacker pentito…). Sempre come il precedente episodio l’azione è sempre più en plain air, così da dar modo agli effetti speciali di fare la loro bella figura, mentre il canovaccio “solo contro tutti” diventa altro, più vicino a qualcosa del tipo “protezione testimoni”, in questo caso scortare sano e salvo Farrell, l’unico in grado di opporsi all’attacco informatico in corso, fino al solito quartier generale. Spiace dirlo (mica tanto però…), ma oramai come personaggio McClean non ha più molto da dire. Basta vederne l’evoluzione, pardon, l’involuzione del personaggio: partito per salvare il mondo dalla catastrofe, ripiega presto su un compito meno arduo (ma altrettanto importante eh!), quello cioè di salvare la figlia finita nelle mani dei delinquenti informatici. Cosa rimane? Poco, tipo il messaggio dei terroristi informatici che servendosi delle immagini e dei discorsi di svariati ex presidenti americani (JFK, Ford, Nixon, Clinton, i due Bush, con una predilezione per il terzo, come sottolinea malignamente l’acker/villain che dice sogghignando “Ho montato molto Nixon…”), opportunamente manipolati, fanno dire loro quello che non si sono mai sognati di dire… (oppure no?).