Finalmente, dopo anni di attesa, un giallo polacco in Italia!

Negli anni Settanta la Mondadori si aprì timidamente al mondo non anglosassone e pubblicò Qui Radio Polonia di Jadwiga Woytillo, nel 1977, e Chi ha paura di Stefan Szalej? di Anna Kormik, nel 1979: poi se la memoria non c’inganna, buio assoluto.

Adesso viene tradotto in Italia Morte a Breslavia, il primo noir di una tetralogia (uscita in Polonia tra il 1999 e il 2006 secondo le indicazioni della sezione polacca di Wikipedia) di Marek Krajewski, quarantenne filologo all’Università di Wroclaw (la Breslavia che dà il titolo al romanzo), che si cimenta nel richiestissimo sottogenere del “giallo storico”.

L’ambientazione polacca è infatti retrodatata alla primavera del 1933 quando Wroclaw, allora in territorio tedesco, rappresentava una terra di confine in tutti i sensi: geografico (avamposto verso il mondo slavo fino all’annessione alla Polonia dopo la Seconda Guerra Mondiale), etnico (corpo sociale composito con tedeschi, ebrei, polacchi e altre minoranze) e storico (siamo proprio nel momento in cui il Partito nazionalsocialista si imposessa gradualmente del potere a partire dall’eliminazione delle SA nella “notte dei lunghi coltelli”.

Solo nelle prime pagine e nelle ultime battute si scende fino ai primi anni della DDR con l’evidente finalità di “lanciare” la tetralogia incentrata sul protagonista, ma anche con lo scopo di sottolineare la sostanziale continuità di persone e di metodi tra il regime nazista e quello comunista.

In ogni caso anche il protagonista, il commissario Eberhard Mock, è un uomo che vive al confine: un uomo di legge, che però tradisce senza scrupoli la moglie dilettandosi con le prostitute di Madame le Goef in eccentrici e sensuali partite a scacchi; un carrierista, che non esita prima a farsi appoggiare dalla locale loggia massonica e poi a giostrare con consumata arte di equilibrista politico, pur senza piegare la testa di fronte ai nazisti; un violento, che adotta le maniere forti negli interrogatori; un cinico, che briga con delinquenti abituali a cui demanda aluni lavori sporchi. Insomma uno di quei poliziotti “neri” o di quei disperati che popolano libri e film noir in Francia e negli USA.

Ma a smentire parzialmente queste ascendenze ha un fisico non propriamente atletico e una tendenza a servirsi della classica spalla del giallo anglosassone, l’assistente di polizia berlinese Herbert Anwaldt; inoltre la vicenda che parte dalla scoperta del cadavere della baronessina Marietta von der Malten, immersa nel suo sangue e con micidiali scorpioni che sguazzano nelle sue viscere aperte, ha molto del romanzo d’appendice – con classica agnizione finale – e del romanzo psicologico con insistito ricorso al pensiero freudiano.

Troppi ingredienti: e così l’intreccio si snoda un po’ faticosamente nell’assolata e soffocante Breslavia estiva con un notevole spreco di sottili disquisizioni filologiche (che d’altra parte costituiscono il pane quotidiano dell’autore), disegnando un quadro di classica società decadente borghese in cui anche chi si propone come eversore e purificatore – i nazisti – soffre della medesima tara.

Il finale è un po’ tirato per i capelli nel tentativo appunto di coniugare gusto per l’intreccio e quadro storico, cinismo noir e ricostruzione d’ambiente: ma essendo, come detto, il primo di quattro romanzi, ci sentiamo di non infierire.

Alla prossima, commissario Mock!

Voto: 6.5