Lo Russo prese il binocolo e mise a fuoco: duecento navi. Imbarcazioni da pesca, piccoli panfili, navicelle esili che avevano visto tempi migliori, se ne stavano spalla a spalla, ancorate a un cavo per l’ormeggio degli aliscafi, teso tra due fari.

Il porto del Giglio era chiuso.

Duemila uomini, donne e persino qualche bambino lo presidiavano intonando cori da stadio.

Lo Russo fece calare un gommone. Prese solo due uomini con sé. Facce truci con barbe lunghe e T-Shirt a righe rosse. Marinai da cartolina.

Gli slogan arrivavano forti e chiari: VIA! VIA! LA POLIZIA!

Sui cartelli le scritte erano nitide: GELO E LEONE DRITTI IN PRIGIONE.

Gli parve persino di sentir intonare L’Internazionale.

Il gommone si accostò timido al molo verde. Lo Russo chiese di parlare con qualcuno: “Che fate ici?”

Lorenzo T., camicia sbottonata e sguardo sfacciato: “La Revolution!”

Lo Russo, mezzo italiano e mezzo francese: “E cosa voulez vous?”

Lorenzo T., il petto gonfio d’orgoglio: “Libertà!”

Lo Russo, un sorriso compiaciuto: “E la Libertè avrete!”

Alle 8 e tredici minuti la goletta corazzata del capitano Lo Russo si ormeggiò di traverso al cavo.

Il primo blocco del porto della storia dell’Isola del Giglio era operativo.

La decisione era stata accolta con entusiasmo esplosivo, i democristi si erano messi subito al lavoro.

La gente era stata reclutata in fretta, nessuno badava più agli stemmi sulle bandiere. Il Giglio era diventato una famiglia. Incazzata a morte contro uno Stato ingrato e vigliacco.

Nessun assassino avrebbe più messo piede sull’Isola.

Nessuno avrebbe più chiamato la loro terra prigione.

Il Giglio era insorto.

L’aria era elettrica, gli sbirri erano venuti in avanscoperta.

Lorenzo T. era andato a parlamentare.

Il maresciallo dei carabinieri si chiamava Rudoni. Una brava persona. Lorenzo lo conosceva, andavano a scuola insieme.

“Secondo te che succede?”, chiese Rudoni.

“Per come la vedo io, o Stella o Giaguaro.”

Solo altre due volte l’Isola era scesa in piazza. E nessuna delle due l’aveva calcolato.

La prima risaliva a vent’anni addietro. Il Partito aveva organizzato una manifestazione in difesa di Pietro Stella, metalmeccanico della Piombi, licenziato ingiustamente per prolungamento di malattia. Lorenzo T. era alla testa del corteo. Cartelli e bandiere rosse. Aveva aperto le danze e dopo dieci passi si era trovato davanti Rudoni coi suoi uomini in assetto da guerra.

Lorenzo aveva sentito un gran fracasso. Quando si era voltato non c’era più nessuno. Appena avevano adocchiato gli sbirri, tutti i compagni se l’erano data a gambe. Bella figura di merda.

L’altra volta era andata diversamente.

Era l’estate del ’74. Una decina di romani in vacanza sull’isola avevano preso a male parole Santina Giaguaro, una zitellona storica.

Brutta era brutta, Santina. Ma non meritava d’essere trattata così.

La folla era insorta, era scoppiato un gran casino. Pasticcio brutto, i romani per poco non furono linciati.

Rudoni intervenne, e si prese la sua dose di botte. Finì bene, tutto sommato. I forestieri malconci furono imbarcati sulla Cecilia Rossi prima di sera.

“Stella o Giaguaro. Delle due l’una…” fece Rudoni.

Fu in quel momento che videro saettare Pietro il Selvaggio dentro casa. Pietro viveva chissà dove sui monti, non scendeva quasi mai.

Barba lunga, capelli che parevano un gomitolo. Se stavi sottovento lo fiutavi Pietro, prima ancora di vederlo.

Aveva un buco a Giglio Porto, non ci metteva piede da anni. Stava proprio vicino alla Caserma dei Caramba.

Pietro irruppe in casa con una latta di vernice rossa. Sradicò la testiera del letto, ci dipinse qualcosa. Inzuppò i piedi nella vernice e riempì il legno di zampate.

Rudoni e Lorenzo T. lo videro caracollare in direzione Porto, la testiera enorme in equilibrio sulla testa.

Lessero la scritta: NON VOGLIAMO CRIMINALI FRA I PIEDI.

Lorenzo T. fissò Rudoni: “A Rudò! Mi sa Giaguaro…”

Rudoni, scuotendo il capo: “Mi sa pure a me, Maremma cane…”

La questione è risolta.

Più o meno…

29 agosto 1976, sera tardi

Gli ultimi ad andarsene furono Lorenzo T. e Rudoni. La questione era chiusa. Il Porto di nuovo aperto.

Erano stati tre giorni indimenticabili. Il blocco si era trasformato in una festa perpetua, merito di Pietro il Selvaggio e dei pescatori. Grigliate di pesce, pizze d’asporto e un fiume di vino del Giglio, quello che se lo bevi in terraferma cambia gusto, non è più buono.