Lì per lì non ci fa caso, però a ripensarci è proprio strano che gli serva tutta quella roba per una gita di quarantotto ore.

Ma Fausto è un compagno, mica una spia degli sbirri. Si fa gli affari suoi.

Solo una cosa gli viene in mente. C’è Sara, una sua amica, che deve andare a Grosseto. Proprio dove Jack aveva la visita.

Fausto è sempre stato gentile con Jack, quando ha avuto bisogno l’ha sempre curato gratis. Vuoi mica farlo incazzare uno così?

Prende il coraggio a due mani e gli chiede un favore: ‘Dai mica uno strappo a Sara, visto che vai a Grosseto?’

‘Nessun problema’, fa Jack.

Sara quel viaggio non se lo scorda finché campa.

Porto S. Stefano – Grosseto in undici minuti netti. Da cacarsi sotto.

Jack probabilmente aveva un piano. E il piano non prevedeva deviazioni in direzione Pisa. Mica poteva scoprirsi… Si arrangiò.

Quando Sara tornò al Giglio, per poco non fece la pelle a Fausto: ‘Visto che sei medico, se proprio volevi farmi fuori, potevi avvelenarmi, invece di farmi crepare di paura con quel pazzo al volante…’

Jack scomparve. Non lo si rivide più.”

Il Tizio spense la cicca sotto al tacco, mandò giù il fondo della media: “Assassini, mafiosi, criminali comuni… E coi terroristi come se la cavò la gente di qua?”

Lorenzo T. ingollò un dito di rye d’un fiato, sorrise amaro: “Coi bombaroli neri la cosa fu un tantino più complicata…”

L’idea

25 agosto 1976

Convocazione straordinaria. Niente più Sezione, Consiglio comunale al gran completo. Municipio, Aula Magna: finestre aperte e camicie incollate alla schiena. Giunta DC in gran spolvero, consiglieri di maggioranza in piedi sulle sedie, come ai comizi.

“È una vergogna! Il nome del Giglio non può essere infangato così! Questa è terra di gente rispettabile, non covo d’assassini!”

I democristi erano partiti in quarta. S’erano già fatti soffiare la questione dei terreni del trio Necchi, Nervi e Pratolino. Questa volta l’avrebbero messo in culo ai rossi. La protesta l’avrebbero guidata loro.

Lorenzo T. schiumava di rabbia. Non per i DC, non per il caldo soffocante e per il casino.

Qui c’era in ballo la dignità della gente. Si trattava della Cosa Grossa. Si trattava di Piazza Fontana.

Diciotto morti, ottantasette feriti. Nessun responsabile.

Erano passati sette anni. E ora che la magistratura aveva due nomi, che faceva invece di sbatterli dentro e buttare la chiave? Li mandava in villeggiatura nel loro paradiso.

Eccheccazzo!

Le tempie pulsavano. Aveva bisogno di una boccata d’aria.

Fuori dal municipio Luciano fumava appoggiato allo schienale della panchina. Aria dimessa, pelle da vecchio stanco. Luciano lavorava al porto. Un tipo nervoso, col fegato marcio di risentimento.

Lumò Lorenzo T. Alzò appena la tesa del cappello: “E che gridano ora? Che è successo?”

Lorenzo T. sbuffò il fumo dalle narici: “Che non l’hai visto il Tiggì?”

Luciano: “L’ho visto. L’ho visto… Ma un c’ho capito nulla. Chi so’ ‘sti FREDDO e MELONE? Che ci vengono a fare al Giglio?”

Lorenzo T. non aveva voglia di starlo a sentire. Prese un respiro profondo: “GELO e LEONE. E per tua informazione sono assassini.”

Luciano: “Assassini? E chi hanno ammazzato?”

Lorenzo T.: “Un sacco d’innocenti. Ti dice nulla PIAZZA FONTANA?”

Luciano: “L’attentatori? Oh Madonnina! Ah no! E c’hanno ragione a incazzarsi! Io mica ce li voglio qua, fascisti cornuti! Li ammazzo con le mie mani! Eh, Lorenzino, fosse per me lo sai che farei? Un bel cavo da molo a molo. Il porto chiuso e chi s’è visto s’è visto. Nessuno entra e nessuno esce più!”

Il cavo. Un classico di Luciano. Ogni volta che qualcosa lo faceva incazzare, se usciva con quella frase: UN BEL CAVO DA MOLO A MOLO.

Lorenzo T. era stanco, nemmeno aveva voglia di starlo a sentire. Fece due passi fino al porto. Si sedette a fissare l’ingresso del traghetto. Accese una paglia: molo rosso a destra, molo verde a sinistra.

Fumava piano, Lorenzo T., la testa pesante. Guardava i fari sui moli.

“Un cavo da molo a molo…

Beh, Lucià! Potrebbe pure funzionare…”

Stella o Giaguaro

26 agosto 1976

Una sirena assordante tagliò in due l’aria. La Libertè si bloccò a una spanna dal casino. Il Capitano Lo Russo salì in tolda e chiese in dialetto corso cosa fosse quel macello.

“Nessuna idea, mon Capitain…”, l’italiano del mozzo era stentato, ma si sforzava di compiacere l’ufficiale.

In guerra la disciplina è tutto e i soldati dell’A.L.C. l’Esercito Separatista Corso, lo sapevano bene.