Parlare di me stesso scrittore, nonostante la vanagloria che fa  parte di ogni essere umano che inventi storie per campare, mi fa ancora sorridere. Sarà che lo faccio professionalmente da nemmeno due anni (prima si vivacchiava scribacchiando gratis et amore dei), sarà che mi fa effetto se Carlo Lucarelli m’invita a un convegno e finisce che gli chiedo l’autografo quando mi presenta sul palco, que sera sera….

A ogni modo cercherò di rimanere serio serio mentre vi spiego com’è la vita dell’autore Sarasso (per gli amici: il Sarassone).

La mia esistenza autoriale, nonostante non sia allietata da anticipi milionari, scorre serena senza grandissime paure del futuro o della precarietà. Accanto alla scrittura c’è da sempre (e credo che ci sarà finché gli impegni di scrivente non si faranno troppo pressanti) un altro mestiere – faccio l’insegnante di sostegno alla scuola dell’infanzia (sì, lo so che è strano immaginarmi a cantare la canzone del Coniglio Zim Zum Zam dopo aver letto qualche pagina dei miei romanzi) –, mia moglie lavora (insegnante pure lei: è un viziaccio di famiglia) e siamo dei discreti risparmiatori (credo che c’entrino le orgogliose origini sottoproletarie e un pizzico d’innata taccagneria).

Nessuna ansia del futuro e nessuna ansia da prestazione di fronte alla pagina bianca. Vuoi perché la pagina dove scrivo io bianca non lo è mai: sulla scrivania c’è sempre un libro aperto, quattro fogli di Firefox, degli appunti scritti a mano. Lavoro così e non saprei fare altrimenti. Ripeto spesso di essere più un buon mestierante che uno scrittore vero. Hemingway aveva davanti solo un mojito e la macchina da scrivere. Io vivo immerso nell’informazione e nelle parole altrui. Fate voi…

Credo che la placida serenità in cui svolgo il mestiere di scrivere abbia qualcosa a che fare col cibo.

C’è chi dice che si fa all’amore esattamente come ci si nutre. Io, che di sesso non parlo perché sono schiavo, come il collega Simi, d’un pudore vittoriano in materia, a rigor di logica dovrei farlo spesso e con grande piacere.

Io e mia moglie siamo cuochi capaci e mangiatori appassionati. Amiamo cucinare e, anche dopo una lunga giornata di lavoro, non cediamo alla lusinga del surgelato.

Cucinare è piacevole e divertente se lo si fa per gli altri. Fatto per se stessi è un atto d’amore.

E poi, a dirla tutta, a fare un risotto (specialità della mia terra che amo visceralmente) o un’amatriciana ci metto lo stesso tempo che ci metterei ad andare al super, acquistare il Quarto Salto in Padella e saltarlo. Alla fine mangio meglio e spendo infinitamente meno (a-ri-ecco lo spilorcio!).

Amo primi e secondi ma ho una passione smodata per il salame. Se compro un cacciatorino, sono capace di sbafarlo in tre giorni. I dolci mi sono del tutto indifferenti. Ben inteso: se c’è, non disdegno una mousse al cioccolato o una torta di mele casalinga a fine pasto.

Ma potrei vivere tranquillamente senza zuccheri.

La passione  per il cibo ha degli inevitabili riverberi sulla mia non più così filiforme silouhette.

Non sono il tipo d’uomo che tratta (né ha mai trattato) il proprio corpo come un tempio. Amo mangiare e bere e supero il quintale con una certa non chalance.

L’abito, che notoriamente non fa il monaco, mi è, al pari della cura del corpo, totalmente indifferente. Generalmente giro in jeans e maglioni che hanno visto tempi migliori. Vuoi perché lavoro in casa o all’asilo (e si sa: temibile è il pennarello Giotto tra le mani di un bambino), vuoi perché gli abiti firmati costano più di quanto mi è lecito immaginare di spendere per abbigliarmi.

Per le occasioni importanti conservo nell’armadio un paio di completi, qualche giacca e due paia di scarpe da “ometto”.

Altrimenti non calzo altro che Clarck’s, sneakers da due soldi e Dr. Martens.

Ho un discreto culto dell’igiene e ogni tanto mi concedo il lusso di un bagno come si deve, farcito da quella strepitosa diavoleria che sono le palle frizzanti di Lush.

Normalmente considero la doccia uno dei momenti fondamentali della giornata e trascorro volentieri sotto l’acqua qualcosa in più dello stretto necessario.

Discorso opposto per barba e capelli: mi rado di rado (mi si perdoni l’imbroglio linguistico), generalmente quando comincio ad assomigliare a Osama Bin Laden e sotto esplicita richiesta della mia dolce metà.

Non taglio i capelli più di tre, quattro volte l’anno. Sarà che nella mia famiglia son tutti calvi ed esibire in mezzo al parentado una criniera leonina è motivo di vanto.

Amo i luoghi in cui vivo e lavoro (il mio studio e la scuola), vuoi perché negli anni sono mutati intorno a me e al momento mi calzano a pennello, vuoi perché sono vicinissimi (quattrocento metri scarsi).

Vivo a Novara e la città non mi dispiace. Sono vercellese di nascita ma non sono mai stato realmente campanilista.

Le aree urbane mi sono abbastanza indifferenti: esco poco, preferisco invitare gli amici a casa. Se esco, faccio molti chilometri per ritrovarmi di fronte a paesaggi molto diversi da quelli che abitualmente vedo alla finestra.

In pratica, con i dovuti comfort (autostrada, connessione veloce, studio attrezzato, librerie) potrei vivere ovunque.

Da sempre ho il sogno recondito di trasferirmi al mare, ma poi finisce che al massimo mi sposto di venti chilometri ogni dieci anni.

Riguardo alle mie abitudini di scrittore, non ho ritmi fissi e strutturati, dal momento che ho la fortuna di lavorare con un editore che mi concede parecchio spazio di manovra e non m’ingabbia in tempistiche soffocanti.

A ogni modo, sarà l’indole piemontese, se c’è una scadenza non sgarro, a costo di far nottata. Mantenere fede a un impegno fa parte dei fondamentali insegnamenti della mia mamma. Quelli che, credo, mi porterò dietro tutta la vita e finirò per trasmettere ai miei figli.

Di solito scrivo al computer, ma se sono in giro e qualcosa mi folgora, mi appunto il pensiero su uno scontrino e lo ficco nel portafoglio insieme agli altri centomila che lo invadono. Una tantum svuoto il portafoglio e trascrivo.

La tecnologia ha una parte fondamentale nel mio lavoro. Non sarei l’autore che sono senza il mio adorato PC (sono un tipo vecchio stile: il mondo Mac mi spaventa ancora…) e la rete. PC fisso (per anni ho usato un portatile che ora funge da serverino domestico e sta per tirare le cuoia), piuttosto potente: nel mio lavoro parole e immagini hanno eguale importanza. Mi capita spesso di integrare la pianificazione della pagina scritta con filmati ed elaborazioni grafiche (materiale che poi confluisce nel mio blog: http://confinedistato.blogspot.com). Ho bisogno di una macchina che non impieghi mezz’ora ad applicare un filtro di Photoshop.

Che c’entra Photoshop con la scrittura? C’entra, c’entra…

Scrivendo spesso al mattino (non fraintendetemi: non sono Stephen King che si alza alle 5; non sono mai davanti alla tastiera prima delle 8.30), inizio sempre la mia session facendo colazione, leggiucchiando le mail e spulciando repubblica.it. Terminato il the (rigorosamente alla vaniglia) è ora di mettersi sotto (generalmente fino a mezzogiorno).

Nel pomeriggio (riattacco verso le 17.00, dopo il lavoro a scuola) mi è più difficile ritrovare la concentrazione: in genere rispondo alle mail, aggiorno il blog, mi occupo di pubbliche relazioni.

Alle 20.00 il PC si spegne. Cena e tv (sono un fanatico dei serial americani), rigorosamente. E nanna non troppo tardi (anziano inside).

Di mio sarei un dormiglione, ma ultimamente la schiena mi tormenta e non riesco a riposare più di sette ore (non sempre di fila). Una piccola confessione: qualche tempo fa, con l’amico disegnatore Daniele Rudoni abbiamo avuto un momento back in the days e abbiamo deciso di ricominciare ad andare in skateboard (erano almeno quindici anni che nessuno di noi due metteva più piede sulla tavola). I segni li porto tristemente addosso…

A dirla tutta, con lo sport non è che abbia mai avuto gran confidenza. Sono più un tipo da bagordi in compagnia. Mi piace un sacco trascorrere la serata con gli amici, chiacchierare, sbevazzare e sfumazzare.

Sono un tipo gioviale e non disdegno neppure una serata in famiglia con tutti i crismi. Credo di essere l’unico della mia famiglia che va veramente pazzo per il Natale “come una volta”, con decine e decine di parenti che vedi solo una volta l’anno, cuginetti scorrazzanti, spumante e crema di mascarpone.

Credo che il mio interesse per la narrativa c’entri parecchio con la mia famiglia, in particolare con mio padre e mio nonno paterno.

Erano entrambi incredibili affabulatori: le favole con cui sono cresciuto sono incredibili miscugli di realtà e finzione. I miei romanzi, in un certo senso, sono la versione 2.0 di quelle storie.

Mi mancano entrambi moltissimo e uno dei rimpianti maggiori è non poter raccontare loro la gavetta che ho fatto per arrivare a pubblicare con una major o i vari aneddoti legati alla scrittura: la prima volta che ho visto il mio romanzo in libreria, le mail che mi scambio con Sergione Altieri, il papà di Segretissimo (mio padre era un fan sfegatato della serie e mi ha lasciato in eredità una collezione invidiabile), quel pranzo a Bologna con Lucarelli o quel Campari con Serge Quadruppani in una bettola a Courmayeur.

Chiudo, in maniera patentemente disorganica, rispondendo alle uniche tre domande lasciate indietro:

- Chi faresti sparire? Elimineresti qualcuno se avessi la certezza di non essere giudicato per il tuo atto?

- Ti piacerebbe essere invisibile a volte? perché? per motivi erotici, di curiosità, per trarne vantaggio per la tua scrittura? Per poter frequentare ambienti in cui non vorresti essere visto?

- Quali sono i tuoi passatempi preferiti? Come ti piace rilassarti, goderti la vita?

Domande alle quali, ne converrete, era pressoché impossibile rispondere formulando un paragrafo omogeneo al resto dell’intervento (sarebbe uscita una cosa del tipo: ho molto amato mio nonno ma il rimpianto più grande non è la sua morte, quanto il non possedere il superpotere dell’invisibilità. Oppure: mi piace cucinare il ragù, ma la mia vera aspirazione sarebbe quella di tritare – non visto – Pinochet come nella scena finale di Fargo. E… sì, beh, per rilassarmi faccio l’uncinetto…)

Ma andiamo con ordine:

- Mai sognato di far sparire qualcuno. Pacifista fino all’osso, sono cordiale persino coi vicini.

- La cosa dell’invisibilità potrebbe essere stuzzicante, a patto di possedere vestiti e scarpe invisibili. L’idea di girare per Novara come mamma m’ha fatto per il mero gusto di vedere dove la sciura Pina ritira i ceci in scatola mi creerebbe scrupoli di coscienza.

- Vado pazzo per i serial americani (ma ve l’ho già detto, vero?), per i videogiochi “ammazza ammazza”, per i fumetti in lingua originale e – sarò banale – per i buon romanzi.