"Ai nostri limiti" recita l’epigrafe posta in apertura a Proprietà privata (chissà perché la distribuzione italiana ha così modificato il titolo originale Nue propriété, vale a dire Nuda proprietà, la formula usata quando si vende la proprietà di una casa conservandone per se stessi l'uso fino alla morte), opera seconda di Joachim Lafosse, passata in concorso alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia, e solo ora sugli schermi. Epigrafe che sostanzialmente riassume l’intento del regista, che consiste appunto nello scandagliare criticamente quella delicata zona di confine tra amore filiale e morbosità, tra senso della famiglia ed esasperato, violento individualismo. Assenza di musiche, dialoghi scarni, fotografia dai colori smorti, movimenti essenziali della macchina da presa, interpretazione assolutamente fisica degli attori sono gli strumenti scelti, in linea con la lezione dei fratelli Dardenne, dal giovane regista belga per descrivere il crollo di un nucleo familiare, formato da una madre divorziata dal carattere autoritario, se non dispotico, e dai suoi due figli gemelli, due ragazzi più che ventenni, che hanno con lei e tra loro stessi un rapporto eccessivamente intimo. I due, che non hanno alcuna intenzione di assumere sulle proprie spalle una qualche responsabilità, passano le giornate a giocare a ping pong o con la play station, mangiano, dormono e fanno il bagno nella vasca sempre insieme. Quando la donna manifesta l’intenzione di vendere in “nuda proprietà” la bella e deprimente casa di campagna, in cui vivono, al fine di procurarsi i soldi necessari per l’apertura di un ristorante, i ragazzi mostrano una contrarietà sempre più crescente e ostinata, iniziano a manifestare sentimenti di gelosia sempre più marcata e morbosa nei confronti del nuovo compagno della madre, finché, logorata dal clima avvelenato, la donna decide di allontanarsi da tutto e da tutti, stando per conto suo per almeno un breve lasso di tempo. Rimasti soli, i due iniziano anche a litigare tra loro sempre più violentemente.

Dunque, basta un’onda d’urto, la possibile vendita della casa perché il legame che unisce Pascale ai suoi figli esploda violentemente, mostrando tutte le sue contraddizioni, in particolare il fatto che la rivalità tra i due ragazzi è lo specchio della rivalità irrisolta tra i due genitori. Con il paradosso che la violenza, oltre a una dimensione distruttrice, sembra essere l'unico strumento capace di permettere ai personaggi di prendere piena consapevolezza della natura dei legami che li uniscono, iniziando a considerare la famiglia non più come un microcosmo concentrazionario ma come uno spazio capace di offrire ampie libertà di movimento.

Naturalmente, come avviene in ogni pellicola che la vede coinvolta, Isabelle Huppert – sempre più esile, ma sempre più energica – domina il film dall’alto della sua eccezionale bravura interpretativa, ben coadiuvata dai fratelli, non gemelli, Reniers, Yannick e Jérémie (quest’ultimo già straordinario protagonista dell’Enfant dei fratelli Dardenne).

Film non seminale, ma coinvolgente e ben fatto. Certamente da vedere.