Happy birthday Turco! Romanzo d’esordio di un quarantenne turco-tedesco, Jacob Arjouni,  che ha per protagonista un detective privato turco-tedesco, Kemal Kayankaya, che comparirà in altre tre avventure (di cui due edite in Italia).

Come spesso avviene nei noir degli ultimi anni la struttura narrativa, qui derivata in modo abbastanza percepibile dall’hard boiled school, ramo Chandler, finisce per essere un piacevole e allegro pretesto per parlare del presente: in questo caso della difficile integrazione in Germania della folta colonia turca.

Kayankaya, figlio di turchi, ma rimasto ben presto orfano e adottato da una famiglia tedesca, si pone consapevolmente come anello di congiunzione tra le due comunità anche se tutto, dalla sua carnagione scura al disprezzo neppure tanto velato dei suoi interlocutori tedeschi, lo respinge all’interno del ghetto di immigrati.

La vicenda prende avvio dal desiderio di una donna turca di conoscere il nome del responsabile della morte violenta di suo marito: e la scelta di un detective della stessa etnia sottolinea questa separazione che c’è nella comunità tedesca. Non solo, la richiesta della donna è motivata dal fatto che la polizia non fa abbastanza per smascherare il responsabile: in apparenza proprio perché è un qualsiasi immigrato senza santi in paradiso.

Ma la realtà che si squaderna sotto gli occhi di Kayankaya – tra inseguimenti, tentati omicidi, botte da orbi e un discreto umorismo secondo il più puro stile chandleriano – è assai più complessa e riserva non poche sorprese, compresa quella finale che assume una connotazione amara e dà un tocco amaramente riflessivo a tutta la storia.

Intanto la polizia non collabora col detective privato non tanto e non solo perché è un annusapatte – per usare una terminologia cara al Carvalho di Vázquez Montalbán – e quindi in ossequio all’antica, letteraria rivalità tra detective privati e ufficiali; ma soprattutto perché Kayankaya è turco e alcuni esponenti della polizia – ariani tedeschissimi – sono corrotti.

Ma anche nella comunità turca non ci sono solo rose e fiori: ben presto la famiglia della donna appare formata da un padre spacciatore, da una sorella tossica e da un marito non solo ammazzato, ma pure lui spacciatore.

Nessuno è candido in questo mondo: e tanto meno nella Francoforte in cui si muove Kayankaya, una città tutt’altro che linda e ordinata come potrebbe apparire in un qualsiasi serie tv tedesca: caldo estivo soffocante, angoli bui e sporchi, locali di dubbia fama e igiene, prostituzione e tossicodipendenza alleate. E anche il nostro cavaliere errante è tutt’altro che eroico: non solo perché spesso e volentieri le busca, ma anche perché la sua etica è abbastanza elastica, i suoi modi sono assai poco urbani (si rovista con passione nelle orecchie ed emette suoni imbarazzanti appena mangiato), l’afflato missionario è pressoché inesistente, il rapporto sessuale più sincero è quello con una prostituta.

Eppure riesce a collaborare con un commissario tedesco in pensione e in crisi di astinenza da lavoro in un’inedita coppia turco-tedesca che supplisce alle manchevolezze caratteriali e professionali di ciascuno dei due componenti fino al successo finale. Che sancisce la vittoria dell’etica (con la minuscola) professionale di Kayankaya con la consegna alla legge di (quasi) tutti i responsabili di una serie di delitti via via scoperti.

Un buon esordio quindi, magari non eccezionale, ma ben costruito, con una facilità estrema nel recepire i canoni dell’hard boiled americana e nel restituire al lettore europeo una realtà che, in misura diversa, lo riguarda sempre più, specie ora che è alle porte l’ammissione della Turchia nella Comunità Europea.

Voto 7