Qualche riflessione e domanda introduttiva…

Per capire quanto il fascismo, la seconda guerra mondiale e gli anni “caldi” del dopoguerra siano un argomento che, a mezzo secolo di distanza, stimola ancora moltissimi autori di letteratura poliziesca, sarebbe sufficiente pensare all’antologia recentemente pubblicata da Sonzogno e curata da Gian Franco Orsi, Fez, struzzi e manganelli (2005), nella quale ben ventisei scrittori si misurano col Ventennio fascista, cogliendone i più diversi aspetti ed è interessante notare come gli scenari della guerra vi compaiano in maniera sfaccettata e significativa: passiamo così dalla figura del torturatore fascista di Salò protagonista di L’unico fascista buono di Alan D. Altieri alle vicende della Resistenza genovese e bolognese rievocate con intensa partecipazione da Ettore Maggi nell’ottimo A cercar la bella morte e da Loriano Macchiavelli nello struggente Oratorio funebre per l’assassinio del Cinno con tre voci recitanti e un morto; dall’ironico Piazza della passera di Franco Valleri ai drammi e ai delitti privati legati all’entrata in guerra del giugno 1940 (La gabbia del canarino di Nino Filastò; Per sempre di Alda Teodorani e Scarpette rosse di Alfredo Colitto); dalle uccisioni di due sacerdoti legate a crimini comuni alle storie di spionaggio, sabotaggio e delazione (Il sangue dei vinti di Ben Pastor e La galleria dei Titani di Giancarlo Narciso), attraversando magari uno dei grandi gialli dell’epoca, vale a dire la vicenda della “saponificatrice di Correggio” rievocata in Anime amareggiate da Claudia Salvatori.

Analogamente, solo per toccare alcuni eventi editoriali recentissimi, si potrebbe pensare al numero monografico dedicato da una rivista come M-La rivista del mistero proprio al tema della guerra, con interviste a scrittori italiani e stranieri, racconti e recensioni, o al fatto che il primo serial-web italiano, prodotto dalla Olim Palus e intitolato I segreti di Littoria, a quel momento storico faccia esplicito riferimento.

Quale considerazione attribuire, però, a queste opere?

Possono offrire un apporto significativo rispetto a una migliore comprensione di un’epoca, dei suoi problemi e delle sue eredità?

Sappiamo come il mondo letterario, al pari della storiografia, si sia misurato ben presto con la realtà di un conflitto che ha ridisegnato gli equilibri geopolitici mondiali, consegnando alla storia della letteratura italiana opere narrative di valore assoluto, basti pensare ai capolavori di autori come Fenoglio, Pavese, Calvino, Bassani, Vittorini, Berto, Cassola, Lussu, Silone, per non parlare della notevole produzione memorialistica (Bedeschi, Caccia Dominioni, ecc.).

La critica, però, raramente e spesso con sufficienza ha analizzato l’interessante e cospicua produzione riconducibile a quella che a lungo è stata definita (almeno secondo alcuni criteri critici ormai, forse definitivamente, superati) letteratura di genere, intesa qui, in modo particolare, come fantascienza e come romanzo poliziesco.

In che modo in quest’ambito, troppo a lungo sottovalutato, sono stati affrontati temi e nodi così importanti della nostra storia?

Se la fantascienza, facendo tesoro della lezione di Philip K. Dick e di Robert Harris, affronta il periodo fascista soprattutto sotto l’aspetto ucronico, raccontandoci gli scenari del possibile [1], quale chiave di lettura ci viene invece offerta dal giallo e dal noir?

Detectives in guerra 

Per provare a trovare una risposta a queste domande, possiamo innanzi tutto considerare come sia a partire dai primi anni Novanta che ci troviamo al cospetto di un insieme davvero organico di storie ambientate durante il conflitto e la guerra di Liberazione, risolte per lo più da detectives che rivestono un ruolo istituzionale nell’ambito di un Regime colto preferibilmente nei suoi momenti di crisi. E’ interessante notare, anzi, come proprio la letteratura gialla si sia interrogata, forse più della storiografia ufficiale, sui sentimenti e sulle idee, sui percorsi e sui destini nel dopoguerra dei quadri politici di una dittatura che si è retta per un ventennio sulla forza di un meccanismo consolidato da migliaia di volenterosi “ingranaggi”.

Carlo Lucarelli, un po’ il padre dello sfruttamento seriale di questo filone narrativo, ambienta la sua trilogia del Commissario De Luca proprio negli anni a cavallo tra la fine del fascismo e l’immediato dopoguerra: il suo commissario è un personaggio tormentato, ma privo di un’autentica coscienza politica e sociale.

De Luca sceglie il fascismo perdente di Salò non per consapevole vocazione politica, ma perché è l’opzione che gli consente di svolgere al meglio l’unico lavoro che sa e vuole fare, quello del poliziotto, vivendo col suo ruolo particolare momenti caldi e critici della vita politica nazionale, che diventano l’autentico fulcro della narrazione. Troviamo così il commissario alle prese con gli intrighi del fascismo morente (Carta bianca, 1990), gli oscuri misteri dei giorni incerti della Liberazione (L’estate torbida, 1991), per giungere alle decisive elezioni del 1948 (Via delle Oche, 1996).

Il regime fascista, del resto, è stato al centro delle attenzioni di Lucarelli in diversi altri romanzi, che ci portano a conoscere alcuni “colleghi” del commissario De Luca. Assai vicino a lui per sensibilità e rettitudine può essere considerato l’ispettore Marino, protagonista di Indagine non autorizzata (1993): è un piccolo borghese conformista e allineato al generale consenso (siamo nella Rimini dei telefoni bianchi del ’36), ma caparbio nel voler preservare un innocente da una carcerazione ingiusta a costo di entrare in collisione con i colleghi più arrivisti. L’anonimo protagonista dell’angosciante L’isola dell’angelo caduto (2001), splendido romanzo che affronta il tema del confino con stupefacente originalità, è forse uno dei personaggi meglio riusciti di Lucarelli: è un uomo malinconico, a tratti orgoglioso, ma molto più spesso debole, insicuro in un mondo gli impone regole e convenienze che lui non vuole rispettare. Quando sarà chiamato a occuparsi della serie di omicidi che insanguinano la lugubre isola, il commissario sembra addirittura temere di trovare la soluzione, presagendo forse l’inizio di un mondo ancora peggiore.

Se con L’isola dell’angelo caduto siamo nell’Italia del delitto Matteotti e dintorni, con Guernica (1996) approdiamo al conflitto spagnolo, dove si muovono Filippo Stella, spia doppiogiochista, e il capitano Degl’Innocenti alla ricerca del tenente Emanuelli, sospettato di essere un feroce serial killer che dissemina di vittime il proprio cammino, incarnando forse l’aspetto belluino di una guerra che si sta allargando a tutto il continente e colla quale devono misurarsi i due detectives per caso.

Tra i personaggi di Lucarelli, solo De Luca testimonia però anche la difficile realtà del dopoguerra, quando il recupero di vecchi arnesi di questura del Ventennio non è del tutto indolore ed è spesso strumentale rispetto a un disegno politico che solo in apparenza gioca con regole più democratiche. Lo scoprirà a sue spese il commissario Liborio Fiumanò, protagonista del recente Tre fili di perle (2005) di Angelo Marenzana, pubblicato da Mobydick: Fiumanò è un ex poliziotto dell’Ovra, è stato epurato, ed è un duro non privo di una sua etica. Non è certo il più colpevole e scopre gli inconfessabili segreti di chi invece vuole rifarsi una verginità democratica e riprendere una nuova scalata al potere, a qualsiasi costo.

Figura diametralmente opposta di “detective” politico è quella di Antonio Sanna, membro del riservatissimo Ufficio Quadri del Partito Comunista, creato da Vindice Lecis, che, con La resa dei conti - Per fortuna che c’era il compagno Togliatti (2003) e Togliatti deve morire  - il luglio rosso della democrazia (2005), lo fa muovere tra le esecuzioni della Volante Rossa, l’attentato al Migliore e  vari complotti orditi da mafiosi, agenti segreti americani, neofascisti e ambigue figure di emissari del Cremlino e della vicina Yugoslavia.

Guerra e dopoguerra riguardano anche il capitano Pietro Contini della GNR, creato dalla penna di Edoardo Angelino e protagonista di L’inverno dei mongoli (1995) e di Binario morto (1998). Nel primo caso siamo nell’autunno del 1944 e l’ufficiale si impegna a risolvere il mistero dell’uccisione di un ex-gerarca in un paesino dell’Appennino ligure per scongiurare una rappresaglia nazista. Col secondo romanzo ci spostiamo nel Piemonte del 1948 dove Contini, superata l’epurazione, impedisce che il ritrovamento del cadavere di un capotreno ex-fascista sia strumentalizzato in vista delle imminenti, decisive elezioni politiche, che si avviano a diventare un vero e proprio leit-motiv della narrativa gialla che si occupa del dopoguerra. Contini è sostanzialmente un fascista messo in crisi nelle sue convinzioni dalle esperienze belliche e ansioso, nel dopoguerra, di lasciarsi alle spalle un passato troppo difficile da seppellire.

Analogo percorso verso il rifiuto del fascismo riserva Corrado Augias in Quella mattina di luglio (1995) al commissario Prati che indaga su un delitto insolito, maturato nella cruciale settimana che va dal 19 al 25 luglio 1943, vale a dire tra il famoso bombardamento di Roma e la caduta del regime fascista. Prati assiste al crollo dei propri ideali di uomo d’ordine  muovendosi tra le miserie e i complotti di gerarchi in crisi, attrici dei telefoni bianchi e prostitute di lusso. Ben diversa è la discesa agli inferi dell’anonimo protagonista del Notti e nebbie (1975) di Carlo Castellaneta: tra le macerie morali e materiali di una Milano, capitale virtuale della Repubblica Sociale, si muove un investigatore dell’ufficio politico milanese caratterizzato da una forte carica ideologica, che fa della coerenza  più inflessibile una norma di vita assoluta, sino a spingersi in nome di questa alle azioni più turpi ed estreme, mosso anche dall’ebbrezza di un potere pressoché assoluto.

Al modello “forte” di Notti e nebbie, ha guardato più recentemente Lucio Trevisan con L’ombra del passato (incluso nella raccolta Pennetta indaga, 2002) che chiude con una sorprendente metamorfosi repubblichina il ciclo del commissario Epifanio Pennetta, scrupoloso detective protagonista di varie avventure  collocate negli anni ’30.

La questione razziale e i suoi drammi individuali fanno capolino, invece, nel serrato Le regole del male di Roberto Santini  (2005) condizionando la vita del commissario Valenti che, con l’indagine su un misterioso omicida seriale nella Firenze di fine ’43, trova un’inaspettata via di uscita verso la salvezza.

Il rastrellamento degli ebrei del ghetto di Roma ispira a Giuseppe Pederiali le intense pagine di un romanzo, che non è un poliziesco vero e proprio, ma ne ha i ritmi e la tensione: Stella di Piazza Giudia (1996). Protagonista è la traditrice ebrea Celeste di Porto, affiancata da due figure veramente abiette di questurini, Antonio Nardi e Vincenzo Antonelli, membri di una delle tante polizie semi-private fiorite a Salò. Sono personaggi mediocri e a loro modo emblematici, privi di qualunque scrupolo morale, che collaborano con i tedeschi nella caccia agli ebrei un po’ perché spinti dall’odio antisemita, un po’ per insaziabile avidità.

Sono tempi in cui, nella fiction, si possono indossare uniformi anche piuttosto scomode: in Italia ha fatto recentemente la sua comparsa la prima avventura del ciclo dedicato da Rebecca C. Pawel al sergente della Guardia Civil franchista Carlos Tejada (Morte di un nazionalista, 2006) [2]. La vicenda ci riconduce nella Madrid del 1939: la guerra civile si è appena conclusa, l’esercito repubblicano è stato sconfitto e la Guardia Civil sta cercando di imporre l’ordine in una città segnata dalle sofferenze del conflitto e dalla paura delle vendette nazionaliste. E’ in questo contesto che Tejada si trova a dover indagare sul misterioso agguato nel quale ha perso la vita un giovane collega che è stato anche un suo carissimo amico.

I sospetti cadono immediatamente su una ex-militante comunista, che viene trovata sul luogo del delitto e immediatamente passata per le armi; solo gli scrupoli del sergente Tejada faranno sì che l’indagine non si chiuda frettolosamente, seguendo altre piste oltre a quella politica. Risulteranno, così, coinvolti nel caso anche molti altri personaggi e l’inchiesta di Tejada dovrà guardare pure nelle file dei propri commilitoni, grazie anche al contributo determinante di una giovanissima testimone, presente sul luogo del delitto.

Il sergente Tejada si rivela essere un detective dalla personalità poliedrica, che cela, sotto una scorza dura di miliziano franchista, un animo sensibile e un’intelligenza acuta, ma, soprattutto, non è solo la caccia al colpevole, con i suoi continui colpi di scena, ad avvincere il lettore alle pagine del romanzo, ma anche, forse soprattutto, il viaggio nel cuore di una Spagna ferita, violentata dalla guerra civile e la scoperta dei diversi volti del Male che l’autrice ci propone e che induce ad accostarsi con grande attenzione ai suoi personaggi, impastati di un’umanità autentica e dolente.

Ben note e molto apprezzate sono anche le inchieste del capitano dell’Esercito tedesco Martin Bora, creato dalla scrittrice americana, ma italiana di nascita, Ben Pastor.

Aristocratico, colto, eccellente suonatore di pianoforte, discendente addirittura di Lutero, Bora vive il conflitto e le indagini che si trova casualmente a svolgere con intensa problematicità, manifestando di avventura in avventura il maturare di un progressivo allontanamento dalla barbarie del nazismo, come testimoniano le splendide pagine sulle Fosse Ardeatine di Kaputt Mundi (2003).

Mentre gli investigatori italiani sono sostanzialmente degli individualisti ben inseriti nelle strutture dello Stato, per cui è aliena dal nostro panorama la figura dell’investigatore privato come, ad esempio, il Bernie Gunther protagonista della trilogia berlinese di Philip Kerr, Ben Pastor dà notevole risalto alla figura degli estemporanei collaboratori di Martin Bora: l’ispettore Guidi, che compare in Luna bugiarda (2000) e Kaputt mundi (2003), rappresenta quell’”area grigia” che maturerà tardivamente un’adesione alla Resistenza; Luigi Borgonovo è l’antifascista custode del carteggio Mussolini – Churchill di Il morto in piazza (2005) e riecheggia la figura classica dell’esule di ovidiana memoria, mentre il duro, disincantato commissario Cesare Vismara della polizia repubblicana coadiuva Bora nella complessa e rischiosa avventura di La Venere di Salò (2006), giocata tra partigiani e alte gerarchie nazifasciste.

In questo senso, Ben Pastor risulta vicina ad altri esempi della narrativa gialla europea, che sfruttano volentieri questo espediente per mettere in scena anche la rappresentazione delle difficili convivenze alle quali non di rado il conflitto poteva dare vita. E’ il caso, per esempio, del ciclo, ancora inedito in Italia, creato dallo scrittore canadese J. Robert Janes, che ambienta le proprie storie nella Francia di Vichy e  pone come protagonisti l’investigatore J. - Louis St. – Cyr della Sureté e l’ispettore Hermann Kohler della Gestapo, determinando complessi rapporti tra i due investigatori.

E’ un po’ la dinamica che si instaura in Lo specchio nero di Franco Cardini e Leonardo Gori (2004) tra il capitano Bruno Arcieri dei Reali Carabinieri, investigatore animato da un profondo senso dello Stato unito a un codice morale rispetto al quale non transige, e l’eccentrico ed eclettico colonnello Dietrich Von Altenburg delle SS, vale a dire i due protagonisti di una sfaccettata indagine che recupera interessanti e poco noti aspetti del nazismo esoterico, divisi dalla rivalità amorosa che si scatena a causa della bella Elena Contini, seducente e sfuggente studiosa ebrea che completa, di fatto, un inedito terzetto investigativo.

L’avventura di Lo specchio nero ha conosciuto un seguito con Il fiore d’oro (2006), nel quale protagonista assoluto è Von Altenburg per un avvincente giallo spionistico, che intreccia scienza ed esoterismo con straordinaria maestria e sfrutta due ambientazioni d’eccezione: il Vittoriale di D’Annunzio e la Cinecittà raccogliticcia che il fascismo di Salò cercò di creare a Venezia.

Abbiamo citato il Capitano Bruno Arcieri, creato da Leonardo Gori, autore abilissimo nel rappresentare il volto della guerra attraverso la descrizione puntuale delle città e della loro quotidianità: dalla Parigi occupata di Lo specchio nero, frequentata da collaborazionisti e spie di ogni genere, passiamo alla Firenze dell’agosto 1944 di Il passaggio (2002), città divisa in due, contesa agli Alleati e ai partigiani dal cieco furore ideologico dei cecchini fascisti di Pavolini, pronti ad accanirsi anche su una popolazione civile stremata e inerme.

In L’Angelo del fango (2005, fresco vincitore del Premio Scerbanenco e del Premio Fedeli) ritroviamo le immagini, i suoni, persino gli odori della tremenda alluvione fiorentina del 1966, e il fango che ricopre la città diventa una sorta di metafora della melma morale capace di attraversare impunemente la guerra e il dopoguerra, mantenendo intatta la sua capacità di condizionare la crescita di una nazione.

Un quadro dell’Italia che cambia ci è offerto anche da Loriano Macchiavelli e Francesco Guccini: in questo caso, umanità e acutezza sono le carte vincenti del maresciallo Santovito, capace di calarsi in un contesto ruvido e diffidente come quello contadino dell’Appennino emiliano fino a coglierne i profondi valori, diventando ben presto un punto di riferimento e riuscendo così a risolvere casi complessi che si svolgono in momenti storici differenti, ivi compresi gli anni ’40.

In Macaronì (1997) la serie di omicidi sulla quale deve indagare il maresciallo (siamo negli anni tra il 1938 e il 1940) si collega strettamente alla storia di Ciarèin, un emigrato fuggito in Francia alla fine dell’Ottocento, mentre in Un disco dei Platters (1998) siamo nel 1960 quando Santovito, tornato nel paese da lui tanto amato e abbandonato per le vicende belliche, si trova alle prese con tre morti legate a vecchie storie risalenti alla fine della guerra, anche se l’aspetto politico sarà solo apparente e celerà moventi strettamente personali. Questa sorta di storia provinciale dell’Italia si completa con Questo sangue che impasta la terra (2001) col quale giungiamo al 1970 ed è ormai stridente il contrasto tra il mondo della montagna e le vicende politiche di un Paese ormai sull’orlo della strategia della tensione, in cui si incontrano e scontrano estremisti di destra, servizi segreti e rivoluzionari marxisti.

[1] Si pensi, per esempio, al discusso e sorprendente ciclo di Mario Farneti, alle pagine intense dei romanzi di Franco Ricciardiello (Ai margini del caos) e Giampietro Stocco (Nero italiano e Dea del caos, pubblicati nella collana noir della Fratelli Frilli editore), allo splendido romanzo di Luca Masali I biplani di D’Annunzio, ma anche a raccolte ucroniche tendenzialmente apologetiche come Fantafascismo! e Gli anni dell’aquila, curate da De Turris per la casa editrice Settimo Sigillo, per non citare archetipi storici come il Benito I° Imperatore di Marco Ramperti o l’ironico Asse pigliatutto di Lucio Ceva.

[2] Sono annunciate le traduzioni di  altri due romanzi, sempre per i tipi della TEA: Law of Return  e The Watcher in the Pine