Le premesse per un’intrigante incursione nel noir c’erano tutte.

Un autore, Anthony J. Latiffi, proveniente dall’Albania anche se di lingua italiana, novità assoluta nel campo del thriller e della narrativa d’indagine.

Una vicenda che prometteva, fin dal titolo e dal prologo, una giusta dose di esotismo.

Una piccola casa editrice, Controluce, che pubblica nella collana “Passage” autori provenienti da aree culturali di solito poco battute dai traduttori italiani.                               

Le aspettative sono invece state in gran parte deluse.

Innanzi tutto l’autore ha deciso infatti di relegare sullo sfondo gli elementi che fanno riferimento alla sua patria d’origine e che invece di solito rappresentano l’aspetto più interessante di un noir non anglosassone: il protagonista è sì un ispettore capo albanese, Mark Barleti,  ma da tempo se n’è andato dalla sua Valona ed è diventato un detective dell’Interpol; la sua indagine si svolge poi tutta negli Stati Uniti; il tipo di spada, infine, che dà il titolo al libro, è citata all’inizio, nel finale e qua e là solo per offrire una vistosa pennellata di colore locale e per alludere al carattere vendicativo dell’indagine di Barleti.

In secondo luogo l’ambientazione tra metà agosto e metà settembre 2001, immediatamente a ridosso dell’attentato alle Torri Gemelle, di cui alcuni protagonisti sono responsabili, anziché vivacizzare la vicenda, contribuisce a spegnerla; non è infatti possibile mutare l’epilogo storico e d’altra parte l’inchiesta privata di Barleti, che deve trovare i terroristi responsabili dell’uccisione della moglie e del figlio in un attentato alla metropolitana di Mosca, corre parallela alla grande tragedia collettiva senza illuminarne i retroscena; così il lettore finisce per scorrere un po’ annoiato le pagine in cerca di un brivido che tarda ad arrivare.

Infine la qualità della scrittura e, soprattutto, dei dialoghi non sorregge adeguatamente una storia che vorrebbe essere, ma non è, adrenalinica: ingenuità psicologiche, eloquio dei personaggi talvolta troppo ricercato, rifugio nella classica storia d’amore e morte tra Mark e Natalie, cugina di sua moglie e escort di lusso per un ex colonnello del KGB passato a traffici mafiosi ben più lucrosi.

Una storia insomma che spesso scivola sul pericoloso terreno degli stereotipi del thriller politico statunitense: latini – italiani e messicani – fedeli all’amicizia; musulmani di ogni provenienza assetati di sangue; americani neoconvertiti all’Islam e infiltrati nei gangli delle agenzie federali; pupe belle e disinibite che desiderano redimersi; eroe duro e puro e doverosamente disobbediente coi capi; colpo di scena finale – alludiamo a quello politico, non a quello sentimentale – che il lettore già presagisce.

Ammettiamolo: ci fa velo il desiderio che “L’altro noir”, che è oggetto di questa rubrica, si caratterizzi più per il forte legame con la realtà socio-culturale della patria dell’autore che non per la capacità di importare, più o meno banalmente, gli stereotipi del noir internazionale; ma proprio per questo motivo se Lo yàtaghan fosse stato scritto da uno scrittore anglosassone saremmo stati ben più severi: siccome invece si tratta di un esordiente che peraltro sul suo sito ci informa di aver progettato – e parzialmente steso – i due capitoli successivi della trilogia, ci imponiamo di aspettare la prossima puntata per esprimere un giudizio complessivo. Magari più benevolo.

 

Voto: 6 (d’incoraggiamento)